Quasi 15 anni fa Alps (2011) di Yorgos Lanthimos raccontava di una compagnia di attori ingaggiata per interpretare i cari estinti di clienti inconsolabili.

L’apparato fortemente autoriale e teorico di quel film trova oggi una sorta di controcanto “mainstream” nel delizioso Rental Family di Hikari, regista e sceneggiatrice giapponese che firma (lo script insieme all’americano Stephen Blahut), dramedy ambientato nella Tokyo dei giorni nostri, dove il gaijin Philip Vandarpleog (Brendan Fraser) salta da un provino ad un altro, cercando di essere scritturato per qualche ruolo che rinfreschi la notorietà ottenuta qualche anno prima, interpretando un insolito supereroe di un popolarissimo spot, dove vestiva i panni di un… tubetto di dentifricio.

In maniera del tutto inaspettata, la chiamata per un lavoro insolito sembra ridare un nuovo scopo a Philip, quando viene assunto da un’agenzia giapponese di “famiglie a noleggio”, che fornisce attori chiamati ad interpretare ruoli diversi per persone sconosciute.

Partendo come una delle più classiche commedie degli equivoci, con quel primo ingaggio in un finto funerale con morto che “resuscita”, Rental Family inizia poco a poco a svelare la sua reale natura: proprio come accadeva nel recente (e sottovalutato) Ritrovarsi a Tokyo di Guillaume Senez, anche qui si parte dalla difficoltà occidentale di ambientarsi e comprendere determinate usanze e non detti del mondo nipponico. Tra questi lo stigma del “disagio mentale” o l’impossibilità per i figli di genitori single di poter accedere a prestigiose scuole private: anche solo per questo potrebbe dunque esser più facile comprendere il perché dell’esistenza di queste rental family (attualmente ne esistono circa 300 in Giappone).

Dapprima tremendamente dubbioso sulla bontà morale di un impiego simile (il finto matrimonio con una giovane donna decisa di affrancarsi dalla sua famiglia), Philip rischierà poi invece di confondere i confini tra performance e realtà, quando sarà chiamato ad “immergersi” nel mondo di due ignari destinatari del suo ingaggio, la piccola Mia (dovrà fingere di essere il padre americano) e l’anziano attore dimenticato da tutti, per il quale dovrà spacciarsi come giornalista chiamato a scrivere la sua storia.

Brendan Fraser and Akira Emoto in RENTAL FAMILY. Photo by James Lisle/Searchlight Pictures. © 2025 Searchlight Pictures. All Rights Reserved.
Brendan Fraser and Akira Emoto in RENTAL FAMILY. Photo by James Lisle/Searchlight Pictures. © 2025 Searchlight Pictures. All Rights Reserved.
Brendan Fraser and Akira Emoto in RENTAL FAMILY. Photo by James Lisle/Searchlight Pictures. © 2025 Searchlight Pictures. All Rights Reserved. (Searchlight Pictures)

Flirtando con il pericolo di un sentimentalismo melenso sempre in agguato, Hikari riesce invece a gettare il cuore oltre l’ostacolo (un paio di situazioni sono letteralmente a prova devasto, spoiler: l’abbraccio con la bambina e i ricordi dell’anziano “sepolti” sotto l’albero), governando con grazia e silenziosa eleganza la mimica prorompente di un Brendan Fraser tornato “se stesso” dopo l’esagerazione (anche protesica) della Balena che gli valse l’Oscar: il risultato è un film che con facilità e disinvoltura commoventi non solo sa muoversi con leggiadria panoramica nel caos di Tokyo, non solo sa offrire più di qualche spunto sulla bontà o meno di simili finzioni (e, va da sé, sul senso profondo di essere attori), ma sa anche riflettere con profondità e sincerità sul concetto stesso di relazione. Che può essere salvifica anche quando nasce “a noleggio”.

Dopo la premiere al Toronto Film Festival, Rental Family è presentato in Grand Public alla XX Festa di Roma e arriverà nelle sale italiane a gennaio 2026 (attenzione all’Awards Season…).

“Perché gli adulti dicono sempre le bugie?” – “Perché a volte è più facile che dire la verità”.