Ci sono case che diventano archivi viventi: mura che respirano con chi le abita, corridoi che trattengono voci e silenzi, finestre che ricordano ciò che hanno visto passare. In Past Future Continuous, seconda regia di Firouzeh Khosrovani (affiancata da Morteza Ahmadvand), la casa dell’infanzia diventa il vero personaggio del film: fragile, ostinata, in procinto di scomparire sotto i colpi di un’autostrada che avanza.

Maryam, costretta a fuggire dall’Iran a soli diciassette anni, nascosta in una pelle di pecora attraverso il confine con la Turchia, oggi vive a San Francisco. Ha lasciato la famiglia per salvarsi, ma non ha mai smesso di tornare indietro: il legame è custodito nello schermo di un computer, grazie alle telecamere che i vecchi amici hanno installato nella casa di Teheran. È così che osserva i genitori anziani che abitano una parte sempre più ridotta dell’edificio, è così che si riconnette a un passato che non vuole dissolversi. Finché internet funziona, le immagini scorrono, tremolanti: un filo che lega l’esilio al ricordo. Quando la connessione cade, resta il vuoto.

Past Future Continuous (2025)
Past Future Continuous (2025)

Past Future Continuous (2025)

Khosrovani, già autrice del pluripremiato Radiograph of a Family, intreccia di nuovo memoria personale e storia politica. Qui il dispositivo tecnologico – la sorveglianza domestica che si fa cinema – è l’innesco di un racconto sospeso tra l’intimità e la Storia, tra la fragilità del tempo e l’ostinazione di chi non vuole abbandonare il proprio archivio di affetti. La voce maschile della casa, scelta sorprendente, dà corpo al luogo stesso, rendendolo soggetto narrante e custode di memoria. Un’idea rischiosa, che apre spazi lirici ma rischia anche di spaesare, come rivelano gli inciampi linguistici dei sottotitoli, dove il genere viene costantemente frainteso.

Visivamente, il film alterna la dimensione granulosa delle videocamere di sorveglianza alla fotografia più poetica di Mohammad Hadadi, creando un dialogo continuo tra l’occhio impersonale della tecnologia e quello intimo del cinema. Le musiche di Christophe Rezai, unite al sound design di Ensieh Maleki, amplificano questa tensione tra distanza e presenza, tra assenza e resistenza.

Past Future Continuous (2025)
Past Future Continuous (2025)

Past Future Continuous (2025)

C’è in Past Future Continuous un nucleo potente: la volontà di raccontare l’esilio non come condizione astratta ma come relazione concreta con i luoghi che non possiamo più abitare, e che pure non ci lasciano andare. La casa diventa metafora di una memoria che insiste, che rifiuta lo sradicamento. In questo senso, il film si inserisce nel solco di quella tradizione del documentario iraniano che sa fare della materia privata un gesto politico.

Eppure, nell’ambizione di tenere insieme tante linee – l’esilio, la storia iraniana post-rivoluzionaria, il dispositivo tecnologico, la voce simbolica della casa – Past Future Continuous rischia di disperdere la sua forza. L’emozione affiora a tratti, ma viene talvolta imbrigliata da un impianto troppo programmatico, che privilegia il concetto sulla fluidità del racconto. È un’opera sincera e a tratti struggente, ma segnata da un’evidente tensione tra la sua spinta lirica e la sua costruzione teorica.

Past Future Continuous (2025)
Past Future Continuous (2025)

Past Future Continuous (2025)

Quello che resta, alla fine, è l’immagine di un filo sottile che collega San Francisco a Teheran, una connessione che vibra, si interrompe, riprende. Come la memoria stessa: fragile, discontinua, eppure capace di resistere al tempo, agli esili, alle distanze.