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Vainilla (2025)
Un cortile assolato, i colori accesi di vestiti e stoviglie, l’eco lontana della televisione che scandisce le giornate. È in questo spazio domestico, tanto semplice quanto carico di tensione, che si muove Roberta, otto anni, spettatrice e protagonista involontaria di un piccolo dramma familiare. Sette donne – madri, sorelle, zie – unite dall’urgenza di salvare la casa dai debiti. Vainilla, opera prima di Mayra Hermosillo in concorso alle Giornate degli Autori, attrice già nota per Narcos: Messico, affonda le radici nella memoria privata e restituisce con sensibilità un ritratto corale al femminile.
Girato nella città natale della regista, Torreón, il film non si limita alla ricostruzione filologica del Messico degli anni Ottanta. Hermosillo preferisce evocare l’epoca con pochi ma decisivi dettagli: un televisore a tubo catodico, abiti dalle tinte sgargianti, piccoli oggetti che riportano indietro nel tempo senza mai cadere nella nostalgia decorativa. Tutto passa attraverso lo sguardo di Roberta, che fotografa, osserva, registra visivamente la vita attorno a sé. Lo sguardo della bambina è il filtro e insieme l’alibi della regista: un ritorno a casa in forma di memoria cinematografica.


Vainilla (2025)
C’è una malinconia sottile che attraversa il film, un senso di precarietà che non riguarda soltanto la perdita della casa, ma la fragilità stessa dell’infanzia. Roberta cresce troppo in fretta, come accade spesso nei racconti di formazione, ma Vainilla non è esattamente un coming of age. È piuttosto un omaggio intimo all’infanzia e alla forza delle donne che l’hanno plasmata: figure tenaci, controcorrente rispetto al contesto conservatore di quegli anni, capaci di trasformare la resistenza quotidiana in un atto di dignità.
La regia predilige movimenti minimi, essenziali, con un’attenzione più marcata alla recitazione che alla costruzione scenica. Da questo deriva una certa staticità, percepibile soprattutto nei momenti di maggiore conflitto, che restano compressi dentro un impianto più teatrale che cinematografico. Ma è proprio in questa misura contenuta che si intuisce la direzione di Hermosillo: la cura per gli attori, la capacità di ascoltare i gesti, i silenzi, i non detti. È un esordio che sceglie la discrezione al clamore, la delicatezza all’enfasi.


Mayra Hermosillo
Vainilla si presenta così come un memoir visivo, un atto di riconoscenza verso una famiglia atipica che ha resistito alle convenzioni, e al tempo stesso una riflessione sull’appartenenza e sul giudizio che la società attribuisce a chi vive fuori dai canoni. Non tutto è perfetto, ma c’è una sincerità che affiora scena dopo scena, una cura affettiva che rende il film più vivo delle sue inevitabili fragilità formali.
Con questo primo lungometraggio, Mayra Hermosillo firma un esordio che mostra già mestiere, e soprattutto una voce personale pronta a maturare. Tra omaggio e confessione, Vainilla è un ritorno a casa che non chiude le porte, ma le spalanca verso le storie ancora da raccontare.