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Oltre il confine. Le immagini di Mimmo e Francesco Jodice
Uno strappo non è solo uno strappo: definisce il potere di sovvertire la realtà, di conferire un’inattesa tridimensionalità poetica, di trasfigurare la cronaca per consegnarla all’immaginazione. È una delle tante rivoluzioni di Mimmo Jodice, classe 1934, tra i massimi maestri della fotografia, partito dal Rione Sanità alla conquista del mondo (ha collaborato con Andy Warhol, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Alberto Burri, per citarne alcuni), che nella fotografia ha trovato l’affaccio sul reale e, al contempo, l’invito al viaggio.
Un percorso in perpetua sperimentazione, “nel disinteresse a essere qui e adesso”, fondato non sulla documentazione del dato ma sul suo ripensamento intellettuale, con la scelta emotiva del bianco e nero, la ricerca della luce nell’oscurità e la camera oscura come spazio di ricognizione. E così suo figlio, Francesco, che si riconosce nell’idea di una fotografia sociale, attenta al paesaggio urbano, alle città come macchine di senso plasmate sui bisogni dell’uomo e non viceversa.
Dall’incontro tra padre e figlio nasce Oltre il confine. Le immagini di Mimmo e Francesco Jodice, il documentario presentato nella sezione Freestyle Arts della XX Festa del Cinema di Roma. Un duetto che è tante cose insieme: un’autobiografia per due voci, una parafrasi di se stessi, una riflessione sull’atto dell’impressionare la vita, un confronto sereno e a tratti commovente tra un padre fiero del figlio e di un figlio orgoglioso del padre.
Come nel precedente Infinito. L’universo di Luigi Ghirri, Matteo Parisini continua a esplorare l’eredità fotografica del Novecento componendo un’elegante e complessa partitura in cui, con delicatezza e sensibilità, accosta il dialogo tra i due Jodice con i tanti e versatili materiali d’archivio. Ne viene fuori un film che ha il valore didattico di un saggio (pensato anche per i non iniziati al tema) e la qualità emozionale di un album di famiglia, un interessante incrocio di testimonianza pubblica e lessico privato che si mette in ascolto del tempo interiore, sulla lunghezza di uno sguardo lanciato al di là delle cose per come le vediamo.