È passato parecchio tempo – albeggiava il Duemila - quando Brad Pitt e Angelina Jolie, i coniugi Smith di Doug Liman, si trasformarono, dal set alla nozze, nella coppia hollywoodiana del secolo. Nel frattempo,  già una serie tentò e non riuscì a far fruttare in tv l’alchimia sbocciata tra i due divi durante Mr. & Mrs Smith (2005): un decennio abbondante fa Martin Henderson e Jordana Brewster furono i Pitt e Jolie da piccolo schermo per un pilota che non diventò mai stagione.

(Quasi) vent’anni, un divorzio, una protagonista cambiata (Waller-Bridge) e un Hollywood Strike dopo, anche la narrazione espansa ha finalmente i suoi super-agenti sposi.

Ma, giova premetterlo, rimarrà deluso chi si aspetta un calco dei Brangelina. Ora sono de-erotizzati, multietnici, comunque agenti segreti in love al tempo della società digitale. 

Jhon e Jane sono appena convolati a nozze: bastano i documenti a certificarlo di Mr. Hi-Hi, infelice nome del Cupido algoritmico che sforna missioni per i due. Che rinnegano i ponti col passato (che a volte ritorna...), si studiano, si spiano per conoscersi, non per annientarsi. Non si fanno agguati, non si detestano per poi amarsi. Semplicemente si giurano subito di separare il lavoro “dal versante romantico”. E in un attimo si smentiscono. Identità fittizie, inseguimenti e quattrini illimitati cementano il resto.

Del film, dunque, rimane l’impianto sentimentale, forse qui affrettato, di due personaggi che passano from enemies to lovers, come lo sprezzo del pericolo, e il confine mobile legalità/carneficina.

Anche per questo c’è da credere a Donald Glover quando giura di non aver visto Mr. & Mrs. Smith (figurarsi la commedia di Hitchcook...) prima di gettarsi in questa spy-comedy nella tripla veste di autore, protagonista e produttore. Perché se di reboot – targato Prime Video che ha già messo in cantiere una seconda stagione dopo le otto puntate della prima – si tratta, con tanto di logo del film citato e ripreso, e se l’attore si contorna di sodali fidati (Hiro Murai di Atlanta alla regia, Francesca Sloane di Fargo alla scrittura) la stuccate al film di base sono consistenti in termini di toni, temi, intenti, perfino scenari.

Perché qui un invidiabile attico di Manhattan unisce il Jhon afroamericano, “bello di mamma”, assurdista, ironico dalla pistola fumante, a Jane (un’ispirata Maya Erskine) giapponese per metà, per il resto sociopatica e sarcastica quanto basta.

Una missione a puntata “ad alto rischio” (in un crescendo di tensione e splatter non sempre calzante), qualche divo di ritorno a cucire la linea orizzontale (Turturro, Paul Dano e Wagner Moura), sentimentalismo e pistole a iosa e il piatto (ricco) è servito: Jhon e Jane si innamorano e ammazzano non volendo, ma per un sacco di soldi a sangue sempre più freddo. Intanto la regia cerca e trova la complicità riuscita tra Glover e Erskine, l’intimità lievità, la reciprocità e lo psicologismo pure, così il paradosso morale che innerva tutte le otto puntate (e le altre che verranno) prorompe: si può crescere nell’amore mentre le mani continuano a sporcarsi di sangue?