Il sottobosco criminale, le sue regole e ritualità, i suoi personaggi e i possibili intrecci sono una fucina praticamente infinita per la narrazione e, in particolar modo, per la serialità televisiva, che mai come negli ultimi anni ha visto un fiorire di drammi - più o meno seri o ironici, violenti o esistenziali - i cui protagonisti si trovano dentro le logiche del mondo dei gangster. Vale per ogni latitudine, dagli USA, che questa mitologia l’hanno codificata con il cinema degli anni ’30, all’Italia delle Suburre e Gomorre, passando per la Gran Bretagna. Dopo Gangs of London, in cui a vincere era la componente action, i combattimenti corpo a corpo, la dimensione marziale e carnale della criminalità, su Paramount+ è disponibile MobLand, che torna a ragionare sulle distanze e le sovrapposizioni tra la famiglia naturale e quella criminale.

Ideati e scritti - con Jez Butterworth - da Ronan Bennett e diretti, tra gli altri, da Guy Ritchie, i dieci episodi della prima stagione vedono protagonista Harry (Tom Hardy), risolutore di problemi per la famiglia Harrigan, ricchi e potenti criminali di Londra che si trovano in una potenziale situazione di guerra quando il figlio dei loro rivali, gli Stevenson, viene ucciso, forse dal giovane rampollo degli Harrigan. La famiglia è retta pubblicamente da Conrad (Pierce Brosnan), il quale però è spesso manipolato dalla moglie, Maeve (Helen Mirren), che, come Lady Macbeth, ha un suo personale piano per ampliare il potere del marito e della famiglia. E anche Harry ha una famiglia, per quanto in crisi, da proteggere dalle tempeste di una lotta per il potere.

Pierce Brosnan as Conrad Harrigan in Mobland, episode 4, season 1, Streaming on Paramount+ 2025. Photo Credit: Luke Varley/Paramount+
Pierce Brosnan as Conrad Harrigan in Mobland, episode 4, season 1, Streaming on Paramount+ 2025. Photo Credit: Luke Varley/Paramount+
Pierce Brosnan as Conrad Harrigan in Mobland, episode 4, season 1, Streaming on Paramount+ 2025. Photo Credit: Luke Varley/Paramount+ (Luke Varley/Paramount+)

Tra le diverse vie che la moderna gangster story ha intrapreso, MobLand decide di percorrerle un po’ tutte cercando la via di mezzo o, meglio, la sintesi tra esse: c’è la seriosità di Butterworth, i toni vagamente shakespeariani, la vena guascona di Ritchie senza gli eccessi goliardici, una storia violenta e sopra le righe, che non cerca mai il commento socio-culturale o politico, ma neanche l’iperbole fumettistica. Scritta così, sembra una serie fatta per scontentare tutti, invece la supervisione di Bennett (noto per Top Boy e The Day of the Jackal) permette un equilibrio narrativo che in pochi sarebbero riusciti a raggiungere con un materiale simile, trovando negli attori, ben prima che nelle finezze di scrittura o di messinscena, il bilanciamento ai possibili svarioni: in particolare, è Tom Hardy, la sua vis ironica e brillante, a fare da baricentro agli eccessi gigioneschi di Brosnan e Mirren (quest’ultima davvero sprecata in un personaggio che è un concentrato di vecchi stereotipi e luoghi comuni sottilmente misogini), a trovare un modo convincente di risolvere la scena, proprio come il suo personaggio fa con i problemi causati dagli Harrigan o contro di loro.

Seguendo questa boa, le sue aperture a un dolore sottaciuto, nascoste nella corazza e nel fisico del ruolo, MobLand riesce ad appassionare e divertire, a convincere cadendo di rado nelle pause infinite che affliggono la maggior parte della serialità media contemporanea. Fila dritto, sa navigare le diverse rotte, non perde mai di vista l’obiettivo.