Non ha la sontuosità viscontiana di Valentino: L’ultimo imperatore, Marc by Sofia, Fuori Concorso a Venezia 82, ma nemmeno l’intimità di Franca, Chaos & Creation o la spudoratezza di Westwood: Punk, Icon, Activist. Si sa, la ritrattistica – soprattutto su commissione – è una delle grandi tendenze del documentario contemporaneo, ma al cinema chiediamo un’idea o perlomeno un’intuizione che discosti la rappresentazione – o l’agiografia – di un talento dal mero fanservice o dalla promozione d’alto bordo, dal prodotto da consumare in streaming o da un reel da scrollare e dimenticare.

Eppure, piaccia o meno, Sofia Coppola ha tutti gli strumenti per costruire qualcosa di singolare, ma la sua stretta e lunga amicizia con Marc Jacobs si rivela perfino una trappola. Perché, è evidente e lo dicono, i due si stimano e si amano da trent’anni, si sono riconosciuti nell’era grunge e si sono accompagnati nelle varie stagioni della moda e della vita. E questo affetto si percepisce tutto: non è un problema, è una bella storia d’amicizia tra figure anticonformiste che si muovono serenamente dentro il sistema.

Ma manca qualcosa di davvero intrigante in questa lunga chiacchierata intervallata da materiali di repertorio che restituiscono l’avventura professionale dello stilista e dal racconto della preparazione di una delle ultime sfilate, tra momenti d’ansia, colpi di genio e trucchi del mestiere. Tant’è che quando Jacobs, a film quasi terminato, spiega che la spinta per affermarsi gli è arrivata da un’adolescenza segnata dal terribile rapporto col patrigno, dal trasferimento a casa della nonna e dalla rivelazione dell’omosessualità, sembra quasi pagare dazio al dovere dell’origin story, al trauma che innesca la sopravvivenza, alle condizioni sfavorevoli che impongono una svolta.

Jacobs, in fondo, è più interessato a condividere le sue ispirazioni (il cinema di Bob Fosse, le icone come Barbra Streisand e Diana Ross) e a lasciarsi descrivere come visionario (le scenografie ispirate alle rovine di Giovanni Battista Piranesi e con le sedie giganti di Robert Therrien). E Coppola, affettuosamente complice, si limita a esaudire il desiderio di un documentario celebrativo ed elusivo che non solo non aggiunge niente alla propria carriera ma non ci fa capire nemmeno quanto il legame personale abbia o meno influenzato la sua estetica.