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L'ottavo giorno
Coperte, sacchi a pelo, tende. E poi mani, rughe, sguardi, unghie sporche e barbe incolte è fatto di particolari il docufilm di Tv 2000 e Play 2000, L’ottavo giorno, diretto da Sabrina Varani, scritto da Gianni Vukaj e Beatrice Bernacchi e presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Special Screenings.
Nell’anno del Giubileo i senzatetto intorno a Piazza San Pietro sono i veri e propri protagonisti di questo percorso che svela, rivela e apre le porte (proprio come quelle sante del Giubileo) verso un mondo ai bordi, abitualmente ai margini e molto poco visto.
Il risultato è una scoperta, accompagnati da Padre Stefano Albanesi della parrocchia di San Gregorio VII di Roma, un’apertura all’ascolto prima di tutto, che restituisce dignità a queste persone dandogli in primis un nome (e qui viene in mente il bel doc Sconosciuti Puri), perché si parte dal riconoscimento dell’altro per poi conoscere ancora di più sé stessi.
“Un doc che è innanzitutto fatto di persone (Paul Ulmer, Luigi Spinalbelli, Fabrizio Salvati, Elio Alfonsi e Francesco Cardillo in arte Vardel Bernard Rehmus Slawonir) e delle loro storie che si snodano sotto San Pietro, con i suoi scorci teatrali e le sue geometrie perfette: c’è chi chiede l’assegno di inclusione all’Inps dopo essere stato sospeso per non aver fatto l’Isee; chi, ex agente immobiliare andava a lavorare in porsche, si è sperperato tutto “come una cicala” e si è salvato “preso per i capelli” trovando un posto letto a Via Marsala (e qui viene da citare un altro bel doc, presentato lo scorso anno sempre alla Festa del Cinema di Roma, ovvero San Damiano, viaggio catartico tra le persone senza fissa dimora che abitano vicino la Stazione Termini); chi sogna di giocare a calcio e chi si trucca da pagliaccio e munito di una carrozzina e di una bambola senza testa chiede l’elemosina ai turisti nelle strade vicino al Vaticano.
E poi c’è il pittore, anzi il disegnatore di “grovigli”: non ha la patente perché troppo distratto, gira con i mezzi pubblici e non riesce a stare fermo più di un giorno nello stesso posto perché deve sempre cambiare aria e persone. Si ispira al futurismo e dice: “Il mio è un segno immediato che dà il senso delle cose che non sono stabili”.
Dal groviglio esce fuori piano piano una figura, da quel vortice si intravede il soggetto che si vuole evidenziare e noi spettatori impariamo insieme a lui a guardare oltre, varcando quella soglia che solitamente non superiamo. Scopriamo così un’umanità in cammino in bilico tra luci e ombre, tra caduta e riscatto, tra fragilità e speranza alla quale tutti noi apparteniamo, perché in effetti come dice una volontaria “è solo un caso se noi stiamo da questa parte e non sotto un colonnato”. Muovendosi con la macchina da presa puntata all’ombra del Cupolone, senza pietismo, tra le migliaia di pellegrini e ad altezza delle persone, per condividere meglio il loro punto di vista, questo doc amplia il nostro sguardo e ci scuote dall’indifferenza invitandoci a varcare quella soglia per cominciare un nuovo giorno: l’ottavo.



