Pochi film prodotti in Iraq hanno poi una distribuzione italiana. Per un clima politico burrascoso, è un settore che in patria si sta riorganizzando e ha bisogno di nuova linfa. Ottimi segnali sono arrivati nel 2022 da Hanging Gardens di Ahmed Al-Daradji e adesso da una piccola perla: La torta del presidente, l’opera prima pluripremiata a Cannes di Hasan Hasadi. Era alla Quinzaine des Réalisateurs, ma forse avrebbe meritato il concorso. Anche qui, come in Hanging Gardens, il focus è sull’infanzia.

La piccola Lamia ha nove anni. Vive nell’Iraq di Saddam, sotto la dittatura e la ferocia delle privazioni. È un’orfana, ogni giorno per andare a scuola prende la canoa. Nonostante le ristrettezze e la fame che massacrano il Paese, Saddam impone che il suo compleanno venga festeggiato ovunque nel suo Iraq. Il maestro di Lamia le dà un compito “prestigioso”: cucinare una torta prelibata e portarla in classe. Per lei, che fatica ad avere da mangiare la sera, inizia un’avventura inaspettata.

La struttura è quella della favola, il filtro sono gli occhi di Lamia. Si mescolano l’indagine sociologica e gli stilemi che appartengono ai romanzi di Dickens: la fame, la difficoltà nel trovare una figura genitoriale appropriata, il mondo degli adulti che schiaccia e sfrutta l’universo legato ai bambini. Ma lo spirito non è manicheo, anzi Hasadi delinea la sua storia come la ricerca di un’identità perduta.

Che cosa rimane dell’Iraq? Qui siamo negli anni Novanta. L’esercito sfila per le strade, indottrina le nuove generazioni. Chi ha il cibo detiene il potere, e piega al suo volere chi soffre. Hasadi gira da cineasta navigato. Gioca con i formati, le luci. Il suo è un affresco toccante, un inno alla pace, mai ricattatorio e sempre sincero. La torta è il suo macguffin, il pretesto per muovere il percorso dei suoi piccoli protagonisti. Hasadi costruisce un viaggio a tappe, sospeso tra disperazione e ironia. Fa sorridere l’immagine di Lamia che si sposta dalla provincia alla città abbracciando un gallo, innescando reazioni inquietanti in chi la circonda.

La chiave è nell’incipit: la torta. Rappresenta uno schiaffo a chi non ha nulla, incarna una dolcezza che non appartiene più a quest’epoca. È una provocazione, uno strumento di tortura imposto alle famiglie dalle scuole: la pena per il rifiuto è essere segnalati alle istituzioni. Hasadi si dimostra già maestro del racconto agrodolce, e si fa cantore del suo Iraq all’inseguimento di un futuro più giusto.