PHOTO
© Amazon Content Services LLC
In altri tempi, migliori o peggiori non sta a noi dirlo, La fidanzata sarebbe stato un sontuoso thriller grandguignolesco per un pubblico adulto, in cui una grande attrice âgé si scatena nella catfight con una collega più giovane. D’altronde ci sono tutte le condizioni: un’affermata, ricchissima, spudorata gallerista di mezz’età, sposata con un uomo devoto e disponibile, va in crisi quando l’unico figlio porta a casa la nuova fidanzata, subito inquadrata come una gold digger manipolatrice. La guerra tra suocera e nuora, prima fredda e poi sempre più incandescente, piena di ricatti e colpi bassi, avviene in una Londra piena di magnifiche dimore con piscine interne e una Spagna da villeggiatura con chef stellato a domicilio. Un po’ Eva contro Eva e un po’ Quel mostro di suocera, con la promessa di un intrattenimento morboso e incalzante.


Ai giorni nostri, l’adattamento dell’omonimo romanzo di Michelle Frances ad opera di Naomi Sheldon e Gabbie Asher diventa una miniserie in sei episodi da meno di un’ora su Prime Video. E, va da sé, tutto diventa più dilatato e annacquato e non solo perché ogni episodio è organizzato accostando i punti di vista di suocera e nuora (prima l’una e poi l’altra a seconda delle circostanze), uno stratagemma che non arricchisce la narrazione ma offre semplicemente due angolazioni dello stesso evento senza aggiungere informazioni davvero decisive.
Ma anche per un generale addomesticamento del côté ossessivo e di ciò che potrebbe essere perturbante, che sia la relazione tossica tra la madre con mania del controllo e il figlio succube e con senso di colpa (con il marito di lei ridotto a funzionale cavalier servente) o quella ambigua e altrettanto malsana tra il ragazzo e la compagna reticente, vendicativa e corruttrice.
La fidanzata conferma quanto l’erotismo sia il grande rimosso dell’audiovisivo anglosassone, soprattutto quando si tratta di una piattaforma che si occupa della distribuzione globale del prodotto, e a maggior ragione se tra le parti in causa c’è una figura materna anticonvenzionale, cinica e feroce, patologicamente protettiva e sessualmente attiva.


Un veicolo personale per Robin Wright – attrice potente e carismatica qui anche produttrice esecutiva e regista delle prime tre puntate (le altre sono dirette da Andrea Harkin) – che, sì, trova l’occasione per misurarsi con un personaggio sulla carta complesso e imprevedibile, feroce e senza scrupoli come se Claire Underwood non fosse mai andata via, ma che nei fatti si rivela più schematica e meno approfondita del previsto. Problemi che riguardano anche gli altri membri dal cast, dalla brava Olivia Cooke che fa quel che può per uscire dal bozzetto ai maschi spatriarcali di Laurie Davidson (il figlio) e Waleed Zuaiter (il marito) fino alle funzionali amiche di famiglia Tanya Moodie e Shalom Brune-Franklin.
E, sul fronte della regia, Wright – che ha debuttato con Land, un piccolo e solido dramma sull’elaborazione del lutto nella natura – sembra volersi muovere tra l’algido neoclassicismo di David Fincher (che l’ha diretta in House of Cards, appunto) e il lessico erotico di Adrian Lyne, senza andare al di là della superficie. Non ci spingeremo a dire che Teodosio Losito l’avrebbe gestita meglio e, tutto sommato, l’intrattenimento fa il suo lavoro, ma quello della Fidanzata è un appuntamento mancato.