Onora il padre e la madre, e in questo caso perfino il fratello. Dalla magistrale tragedia familiare di Sidney Lumet – che già ragionava di legami spezzati tra genitori e figli e, inevitabilmente, di crimini – all’altrettanto disperata e nerissima Black Rabbit, l’imperdibile miniserie targata Netflix di Zach Baylin e Kate Susman.

Sceneggiatore il primo e produttrice esecutiva la seconda del recente The Order di Justin Kurzel, che torna qui in qualità di regista firmando i due episodi conclusivi di stagione. Al centro, ancora una volta, disfunzionalità, tradimenti e crimini di famiglia, e così traumi del passato mai realmente elaborati, i quali danno vita a legami fraterni di indubbia complessità. Dapprima lacerati e poi ricuciti, poiché – come sottolineato da Joe Mancuso, il temibile capo sordomuto di un clan mafioso di New York – “La famiglia, purtroppo, è l’unica cosa che non ci possiamo scegliere. Nonostante il caos, resta. E dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per mantenerla unita”.

Black Rabbit. (L to R) Jude Law as Jake, Jason Bateman as Vince in episode 108 of Black Rabbit. Cr. Courtesy of Netflix © 2025
Black Rabbit. (L to R) Jude Law as Jake, Jason Bateman as Vince in episode 108 of Black Rabbit. Cr. Courtesy of Netflix © 2025
Black Rabbit. (L to R) Jude Law as Jake, Jason Bateman as Vince in episode 108 of Black Rabbit. Cr. Courtesy of Netflix © 2025 (COURTESY OF NETFLIX)

Lo sanno bene anche Jake e Vince Friedken, interpretati rispettivamente da due grandiosi Jude Law e Jason Bateman. Un tempo musicisti, poi ristoratori e infine anime perdute, separate dall’imprevedibilità della vita, dalle conseguenze effettive delle dipendenze e così dalle tracce dolorose e indelebili del crimine: la macchia che li unisce e, al tempo stesso, li separa. Un legame fraterno il loro, sopravvissuto tanto alle ferite della memoria quanto all’abbandono ripetuto e ormai assimilato, che tuttavia s’arresta improvvisamente, dando inizio a una nuova potenziale coesistenza, dagli esiti inevitabilmente tragici.

Riuniti nel nido che è poi trappola del Black Rabbit, il locale newyorkese d’élite al quale hanno dato vita negli anni della giovinezza, i fratelli Friedken – per quanto conflittuali e ormai distanti – si ritrovano infatti a far fronte comune rispetto a tutto ciò che il passato, fino a lì, non aveva ancora sputato fuori e che, a distanza di anni, riversa tra le strade e i cuori di questi criminali per necessità (o costrizione?), condotti ora alla resa.

Black Rabbit. Cleopatra Coleman as Estelle in episode 103 of Black Rabbit. Cr. Courtesy of Netflix © 2025
Black Rabbit. Cleopatra Coleman as Estelle in episode 103 of Black Rabbit. Cr. Courtesy of Netflix © 2025
Black Rabbit. Cleopatra Coleman as Estelle in episode 103 of Black Rabbit. Cr. Courtesy of Netflix © 2025 (COURTESY OF NETFLIX)

Chi ne uscirà vivo? Muovendosi con eleganza e passo deciso tra lo spirito letterario di profonda ambiguità morale, doloroso tormento emotivo e dimensione crime – pur sempre declinata in chiave drammatica – di Dennis Lehane e ancora la narrazione familiare filtrata dai linguaggi del thriller e del noir propria del cinema di Gavin O’Connor, Black Rabbit fa centro.

E come se non bastasse, pur non trattandosi di tracciati inesplorati, ma al contrario battezzati e ribattezzati come detto, da grandi maestri quali Sidney Lumet e Clint Eastwood, e ancora da nomi noti e meno noti del panorama cinematografico recente, la miniserie di Baylin e Susman – figlia d’uno spirito cinefilo dall’impronta autoriale fino a qui riconoscibile – riscopre con merito lo scenario notturno, metropolitano e introspettivo di Michael Mann, affiancandogli efficacemente la psichedelia disperata e schizofrenica dei fratelli Safdie, rileggendo il tutto secondo un’umanità dolce e al tempo stesso spietata, dagli echi sottilmente western.

Black Rabbit. (L to R) Amir Malaklou as Naveen, Jason Bateman as Vince in episode 103 of Black Rabbit. Cr. Courtesy of Netflix © 2025
Black Rabbit. (L to R) Amir Malaklou as Naveen, Jason Bateman as Vince in episode 103 of Black Rabbit. Cr. Courtesy of Netflix © 2025
Black Rabbit. (L to R) Amir Malaklou as Naveen, Jason Bateman as Vince in episode 103 of Black Rabbit. Cr. Courtesy of Netflix © 2025 (COURTESY OF NETFLIX)

Il risultato è un’operazione audace, nervosa e adulta come poche: capace di riflettere, con grande dinamismo e cura, sull’impossibilità dapprima drammatica e poi violenta di sfuggire ai legami di natura familiare, che un po’ ci salvano – permettendoci d’amare incondizionatamente chi ci resta accanto, nonostante gli errori e le distanze – e un po’ ci affossano, costringendoci al conflitto doloroso e alla resa, tanto con noi stessi quanto con gli altri, a costo di accettare l’abbandono e l’addio senza ritorno.

Black Rabbit, al di là del cast qui in stato di grazia, è una miniserie imperdibile per moltissime ragioni, prima delle quali la scrittura, che affonda i denti sulla memoria, la politica (tornano le ombre lunghe del Me Too) e così i cuori degli spettatori, quasi certamente a pezzi al termine della visione. Frenetica, dolorosa e commovente.