Insieme al connazionale Sir Alex Ferguson è la personalità più vincente della storia del calcio.

Con 39 titoli vinti da calciatore e 12 da allenatore, lo scozzese Kenny Dalglish (classe 1951) viene ora raccontato da Asif Kapadia, che dopo la virata sci-fi di 2073 torna a fare quello che gli riesce meglio, ovvero il documentario biografico.

E dopo Diego Armando Maradona (e altre icone sportive come Senna e Federer) si concentra su un altro magnifico fuoriclasse del calcio che fu: già dai titoli di testa, poggiati su quelle strisce a fumetti che all'epoca raccontavano gli highlights delle partite con una poesia forse perduta per sempre, il lavoro di Kapadia ci scaraventa agli albori di una carriera iniziata nella natia Glasgow ("Nelle scuole cattoliche avevano messo i campi da pallone, ma io non potevo andarci perché era la religione sbagliata, diceva mia madre"), tra le fila dei "rivali" del Celtic. Che nel 1967 fu la prima compagine britannica a vincere la Coppa dei Campioni e il giovanissimo Kenny ("il piccoletto") iniziò ad allenarsi con la prima squadra, allenata da Jock Stein, un secondo padre per lui.

Attraverso la bellezza dei filmati d'archivio (non solo relativi ai match e alle sue straripanti giocate) e la voce narrante dello stesso Dalglish, il regista inglese intende celebrare le gesta (dentro e fuori dal campo) di un campione che è stato bandiera tanto in patria quanto, e soprattutto, nell’adottiva Liverpool.

È lì, infatti, che il numero 7 ha saputo dapprima far dimenticare il vecchio "re” Kevin Keegan e poi diventare il nuovo idolo di Anfield, prima come giocatore (1977-1985), poi come giocatore-allenatore (1985-1990) infine come allenatore (1991 e il ritorno nel 2011-2012): sono gli anni dei più grandi trionfi del Liverpool (che dal ’77 al ’90 vince 1 Supercoppa Europea, 8 campionati inglesi, 4 Coppe di Lega, 2 FA Cup e 3 Coppe dei Campioni), ma sono anche gli anni – i primi degli ’80 – in cui la città versa in una profonda depressione sociale, tra razzismo e disoccupazione. E quelli in cui le gioie del campo si scontrano con due delle più grandi tragedie mai avvenute nel mondo del calcio: la vergogna dell’Heysel (nel 1985)  e, quattro anni più tardi, il disastro di Hillsborough, dove morirono 96 persone), evento quest’ultimo che mutò per sempre il calcio britannico: è all’indomani di quella spaventosa disgrazia – come racconta la moglie Marina – che anche Kenny Dalglish cambiò, forse per sempre.

Utilizzando solo materiale di repertorio e interviste audio contemporanee (oltre alla moglie, intervengono anche Graeme Souness e Alan Hansen, gli altri due scozzesi in forza ai Reds in quegli anni), Kapadia (grande tifoso del Liverpool) confeziona un ritratto a tutto tondo di un altro campione dello sport (forse meno universalmente celebrato rispetto ai precedenti già raccontati), elevando però il semplice “film di calcio” a racconto più complesso, “su un uomo, una famiglia, una squadra, una comunità, una città, lo sport, gli uomini e le donne che lo vivono”.

E rivedere quello che fece Liverpool tutta in seguito alla tragedia di Hillsborough (il campo e lo stadio di Anfield riempito da quella silenziosa processione e ricoperto di fiori), con Kenny Dalglish capofila e “padre” di quella gente, è un’immagine che ancora oggi spacca il cuore.