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Il Vangelo di Giuda - FR81
Dopo aver tradito Gesù e aver assistito all’agonia della crocifissione, Giuda si pente e si reca in un bosco per impiccarsi. Mentre pende dal ramo di un albero, negli istanti precedenti la morte vede la sua vita passargli davanti agli occhi: qui ha origine il racconto del film.
Ne Il Vangelo di Giuda Giulio Base applica la propria estetica fondata sull’eccesso a un preciso sotto filone del genere biblico: quello dedicato alla vita di Cristo, il “film-Vangelo”, che annovera registi del calibro di Pier Paolo Pasolini (Il vangelo secondo Matteo, 1964), Nicholas Ray (Il re dei re, 1961), Franco Zeffirelli (Gesù di Nazareth, 1977). Si tratta di un sottotipo che continua a godere di buona salute anche negli anni a noi più recenti: basti considerare, fra i tanti esempi, uno dei più famosi film ad esso appartenenti del nuovo millennio: La passione di Cristo firmato da Mel Gibson nel 2004.
Base fonda la propria poetica registica su uno stile volutamente eccessivo che realizza in due modi: da una parte, si rapporta in modo ambivalente al genere che di volta in volta decide di frequentare, sia aderendo ad esso, sia, al contempo, operando una sua s(n)aturazione tramite la ripresa e l’esagerazione dei suoi stessi stilemi.
Dall’altra parte, Base infarcisce i suoi film di contrapposizioni stilistiche violente e finalizzate a colpire la fruizione dello spettatore. Facciamo degli esempi relativi a quest’ultimo ambito: Il Vangelo di Giuda presenta i titoli di testa con lettere rosse su un campo nero accompagnati da una musica metal, che si interrompe improvvisamente quando inizia il film vero e proprio, presentando in primissimo piano il volto insanguinato e sofferente di Cristo, mentre in profondità di campo vediamo Giuda scappare via.


Il Vangelo di Giuda
Al contempo, i colori dei titoli di testa si contrappongono fortemente a quelli della prima vera inquadratura: il rosso del sangue, che cola copioso sul viso di Gesù, richiama quello delle immagini precedenti e, al contempo, contrasta, perché complementare, con il verde dell’erba su cui corre l’Iscariota e con l’azzurro del cielo che si staglia all’orizzonte. Dunque, già nei primissimi minuti del film il regista inserisce delle contrapposizioni violente, tanto di natura sonora (la musica metal che termina improvvisamente) quanto coloristica.
Esempi di come Base lavora sul genere, invece, possono essere trovati già nei primi minuti del film: si tratta di scene situate in un bordello che propongono quindi un erotismo particolarmente spinto, tanto da un punto di vista visuale (la prostituta e madre di Giuda mostra il suo corpo nudo in scene di sesso) quanto a livello tematico (si parla di rapporti pedofili dove l’Iscariota bambino è la vittima), inusuale per un film appartenente al genere biblico. Inoltre, Gesù è l’unico individuo interamente vestito di bianco, coincidente da un punto di vista visuale con la più dozzinale delle immagini religiose hollywoodiane.
Invece, il personaggio di Giuda è pensato per contrapporsi visivamente a quello del Salvatore: indossa sempre dei panni neri e il suo viso non viene mai mostrato, perché coperto dai vestiti o per il fatto che viene ripreso di spalle, al contrario di quello di Cristo che è sempre ben inquadrato. Si tratta dunque di opposizioni formali tra i due personaggi assai scontate e banali perché rimandano all’antitesi semplicistica fra bene (Gesù è vestito di bianco e si mostra in viso) e male (Giuda che si caratterizza per il contrario).
Eppure, c’è qualcosa che convince potentemente nella regia di Base, tanto da riuscire a bilanciare l’eccesso di cui si è appena parlato. Ne è un esempio il racconto che viene fatto di Cristo: convincente, sincero e appassionato nell’esibirne la semplice grandezza, incentrata a mostrare il suo atteggiamento contrario a qualsiasi logica terrena con cui ha cambiato la storia umana. Giuda, infatti, descritto come un parassita e un reietto, viene accettato negli apostoli a conferma di quanto appena espresso, rendendo quindi coerente con il film la contrapposizione visiva tra bene e male descritta poco prima.
Dunque, i suoi film funzionano perché, nonostante lo stile esasperato, riesce ad aderire sempre perfettamente al genere, così che queste esagerazioni linguistiche vengono stemperate e assopite perché parte del suo meccanismo.
Base adotta quindi uno stile ai limiti del kitsch, tanto eccessivo da essere sempre sul punto di diventare la parodia di sé stesso: quello del regista è un gioco funambolico col genere e con il suo linguaggio, perennemente in bilico, sempre col rischio di esagerare uno dei suoi elementi e di far impazzire la ricetta, anche se, alla fine, si dimostra funzionare perfettamente.