Si può parlare di vero amore nella condizione in cui si viveva ad Auschwitz? Già questa domanda se l’era posta la regista israeliana Maya Sarfaty quando aveva deciso di raccontare la tragica storia d’amore vera tra Helena Citron, un’ebrea deportata ad Auschwitz, e Franz Wunsch, un ufficiale nazista. Il docufilm si chiamava Se questo è amore e nel titolo, con l’esplicito riferimento all’opera di Primo Levi, l’interrogativo era sottinteso. Ora la miniserie in sei puntate Il tatuatore di Auschwitz, in arrivo dal 10 maggio e in streaming su Now, risponde in modo più che affermativo alla questione e ci conferma che l’amore anche nel più terrificante dei contesti può nascere eccome (spoiler: i due si sposarono e vissero insieme in Australia per tutta la vita).

Il presupposto è simile e anche questa storia è vera, ma la variante è notevole (e non di poco conto) perché questa volta i protagonisti sono un ebreo slovacco, di nome Lali (interpretato da Jonah Hauer-King da giovane), diventato uno dei tatuatori del campo di concentramento, e una giovane ebrea di nome Gita (Hanna Próchniak), impegnata nel centro di smistamento vestiti. La loro condizione è dunque comune e tragica visto lo sfondo terribile: Auschwitz.

Diretta da Tali Shalom-Ezer la serie affronta tutto questo attraverso un doppio binario: da un lato il campo di concentramento e i suoi orrori con una sola luce ovvero la speranza reciproca di un amore, sempre però sotto la costante sorveglianza dell’instabile ufficiale nazista delle SS Stefan Baretzki (Jonas Nay), dall’altra Lali, ormai ottantenne e vedovo (interpretato dal bravo Harvey Keitel), che incontra l’aspirante scrittrice Heather Morris (Melanie Lynskey), e trova il coraggio di raccontare al mondo la sua storia e il suo passato affrontando i fantasmi traumatici della sua gioventù.

Tratta dall'omonimo libro bestseller internazionale pubblicato nel 2018 dalla scrittrice neozelandese Heather Morris (edito in Italia da Garzanti), che tra il 2003 e il 2006 aveva parlato con Lale Sokolov, ebreo sopravvissuto al campo di concentramento nazista di Auschwitz, Il tatuatore di Auschwitz nasce da una coproduzione tra Italia, Australia, Stati Uniti e Regno Unito. Tante le critiche al testo della Morris perlopiù sull’inesattezza di alcuni dati storici, tanto che diversi consulenti qualificati hanno questa volta cercato di correggere i punti critici come per esempio il numero che Lali tatua sul braccio della futura moglie o la disposizione del campo. Ma più che altro il rischio reale è la semplificazione eccessiva di un periodo storico così atroce. Pericolo scongiurato? Solo in parte perché tante volte questa storia romanzata dalle tinte rosa stona davvero con la realtà nera e gli orrori dell’Olocausto.