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© 2025 Netflix, Inc.
Squid Game è arrivata al momento giusto. Non soltanto perché eravamo in piena pandemia Covid e quindi bloccati più spesso a casa. La serie Netflix, ideata, scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk, l’uomo dei record, diventato il primo regista asiatico a vincere un Emmy (per la regia dell’episodio Un, due, tre, stella), rappresenta infatti lo sdoganamento definitivo della cultura coreana in Occidente.
Dopo almeno 20 anni di film memorabili (pensiamo alla trilogia della vendetta di Park Chan-wook e a Parasite di Bong Joon-ho, solo per citare i più famosi e celebrati), culto della skin care coreana e del K-Pop, Squid Game ha convinto milioni di persone in tutto il mondo a seguire una serie della Corea del Sud in lingua originale, mostrando tutta la musicalità di questo idioma. Forte dei suoi colori accesi, dei simboli (il triangolo, il cerchio e il quadrato) facilmente riconoscibili e di personaggi diventati immediatamente iconici (le guardie con le tute rosse, la bambola assassina, il Front Man) la serie Netflix è entrata presto nell’immaginario collettivo, tanto da accendere una “Squid Game mania” (a fine 2021 tutti volevano provare i dolcetti dalgona, al centro di uno dei giochi più celebri).
Il successo della serie ha poi determinato anche la scoperta di tanti altri titoli, come The Glory e Non siamo più vivi, creando una fame sempre crescente di contenuti provenienti dalla Corea. Impensabile quindi che la piattaforma di streaming non decidesse di ampliare e sfruttare il franchise. Nel 2023 è arrivato così il game show Squid Game: La sfida, con veri concorrenti (e non poche polemiche), mentre nel 2024, a tre anni di distanza dalla prima, è uscita la tanto attesa seconda stagione. Il risultato però non è stato all’altezza di quell’irripetibile ciclo di episodi originali. Ma non importa, perché non ci si può fermare: dal 27 giugno arriva in streaming Squid Game 3, conclusione della storia ideata da Hwang Dong-hyuk. E, ancora una volta, la magia non si è ripetuta.


Nuovi giochi, vecchio schema
L’autore si è preso il suo tempo per scrivere questa conclusione. Purtroppo però il risultato non è forte come la prima stagione, nata, come ha più volte ripetuto, da un momento di effettiva necessità vissuto nella sua vita. Squid Game è infatti una forte critica al capitalismo, che porta le persone a fare di tutto pur di ottenere soldi, potere e visibilità. La conclusione originale era dunque perfetta: un cerchio che si chiude in modo amaro, ma potente.
Con la seconda e terza invece, girate back to back per ottimizzare tempi e costi, il capitalismo, il vero villain, ha preso definitivamente il sopravvento. Ritroviamo infatti il protagonista Seong Gi-hun (Lee Jung-jae), vincitore dei giochi, con un enorme senso di colpa. Invece di spendere il montepremi per se stesso, lo ha utilizzato per scoprire chi ha organizzato lo Squid Game, per cercare di fermarlo. E questa è un’idea interessante. Se non fosse però che il format è quello delle prove mortali ispirate ai giochi dell’infanzia. E a quelli si deve tornare. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: sono stati introdotti nuovi giochi, sempre più spettacolari, ma lo schema però è ormai noto. E, nonostante l’arrivo di tanti nuovi personaggi, l’effetto è quello di un inutile allungamento e annacquamento della storia.


Squid Game 3: un finale degno?
Essendo la diretta continuazione di Squid Game 2, questo terzo ciclo di episodi continua la mattanza a cui ormai Hwang Dong-hyuk ci ha abituato. Il problema però è che, esattamente come per i giochi, a cui ormai ci si è assuefatti, è difficile affezionarsi ai nuovi personaggi. Le tante storyline aggiunte sono infatti stanche, diventando presto una distrazione fastidiosa per ciò che invece ci interessa davvero: lo scontro finale tra Gi-hun e il Front Man. Anche perché non si fa in tempo ad approfondire un nuovo personaggio che subito viene eliminato senza pietà. Inoltre, gli altri due archi narrativi che si muovono in parallelo a quello del protagonista, quello del detective Jun-ho (Wi Ha-joon), fratello del Front Man, e della guardia numero 11, Kang No-eul (Park Gyu-young), sono a loro volta poco arricchiti, finendo per aggiungersi al calderone dello screentime messo lì semplicemente per fare numero. Nonostante i numerosi colpi di scena, il finale di Squid Game è dunque figlio di quello stesso capitalismo che inizialmente Hwang Dong-hyuk ha criticato in modo così brillante. Come si dice: il gioco è bello quando dura poco.