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Daniel Day-Lewis in Anemone
L’opera prima può essere croce e delizia. I maestri dicono che, quando si passa dietro la macchina da presa, bisogna raccontare qualcosa di vicino a noi. Ronan Day-Lewis è il figlio del miglior attore vivente: Daniel Day-Lewis, che da otto anni si era ritirato dalle scene. Il figlio diventa regista, e il padre lo accompagna, in una storia, appunto, di genitori a confronto con le nuove generazioni.
Il titolo è Anemone, come il fiore. Il suo nome deriva dal vento, e ha un doppio significato: può rappresentare la fragilità come la rinascita. Sono i due elementi cardine del film, le due facce che identificano i tormenti di una famiglia. Non vi vogliamo svelare molto. Un ragazzo aspetta a casa, è in crisi, ha le nocche sbucciate. La madre lo assiste. Un uomo parte in moto verso il bosco. Qui deve incontrare una figura venuta dal passato, piena di sofferenza e in attesa di ritrovarsi. In Anemone ci si perde.
È volutamente respingente, ermetico, fuori da ogni canone. Sarebbe troppo facile dire che la forma prende il sopravvento sulla narrazione. Bisogna fare un passo in più. Qui si avverte il vigore della prima volta, l’energia di chi vuole dominare il cinema, la forza di chi non ha ancora trent’anni. Ed è per questo che Anemone è un alieno, è controcorrente. L’incedere è misurato, prevalgono i silenzi. La parola esplode solo a tratti, in lunghi monologhi senza requie, in cui i protagonisti si mettono a nudo.
È un gioco a due tra Daniel Day-Lewis e Sean Bean. Il primo giganteggia, si conferma ancora ad alti livelli, il secondo gli fa da spalla, cerca di riportare l’ordine. In un film che è anche una preghiera perduta, in cui la religione si destreggia tra il diavolo e l’acqua santa, e i Testi Sacri non sono sempre un conforto. Anemone non è per tutti. Si fatica a penetrare tra le sue maglie, a volte eccede, si trasforma in un flusso di coscienza che sembra inarrestabile.
Ma poi la cinepresa si ferma. Si inchioda sui volti, nascono primi piani serrati, in cui la memoria si fa dolore, confessione. Ronan Day – Lewis realizza un esordio violento come una grandinata, che guarda all’oggi, alle guerre, ma anche ai conflitti tra giovani e adulti. In Anemone convivono più anime. Il film si rivela una danza tra opposti, un mistero sospeso tra mondo reale e onirico, tra ordine e caos. In un universo in cui basta uno sguardo per scatenare l’uragano. Due ore tempestose, piene di oscurità, anelando alla pace.