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Enzo @luckyred
Alcuni film sono sorretti da molte voci. Nel reparto produttivo di Enzo, film di apertura alla Quinzaine des cinéastes (ex Quinzaine des Réalisateurs) al Festival di Cannes, si vedono tra gli altri i fratelli Dardenne e Jacques Audiard. Dietro la macchina da presa ci doveva essere Laurent Cantet, che poi è scomparso prima di portare a termine il lavoro. A prendere il suo posto è stato il sodale collaboratore Robin Campillo, che avrebbe cofirmato la sceneggiatura.
Enzo è quindi frutto di talenti diversi. Si trasforma in un ibrido, che al suo interno contiene più visioni. Ci sono i luoghi chiusi, i microcosmi tanto cari a Cantet (uno su tutti: La classe). Gli ambienti dell’azione sono pochi: la casa di Enzo, quella del ragazzo che conosce facendo il muratore, e il cantiere. Qui si sviluppa il disagio adolescenziale, la ricerca del proprio posto nel mondo, lo scontro tra la borghesia e gli umili. Mentre da lontano arrivano gli echi della guerra in Ucraina.
Ancora una volta Cantet parte dal dettaglio per spingersi verso l’universale. E poi arriva Campillo, che con rispetto non vuole essere Cantet. Mantiene la sua cifra stilistica legata ai corpi, alle tensioni amorose magari non corrisposte o irrisolte. Si fa rigoroso, attento ai piccoli gesti. Spicca la sequenza del ballo, in cui si sentono i richiami al suo tambureggiante 120 battiti al minuto.
Il protagonista è un adolescente in crisi. Rifiuta il suo universo agiato, preferisce lavorare come muratore. La famiglia fatica a parlare con lui, mentre si lega sempre più a un suo collega ucraino. Enzo è il ritratto di un disagio generazionale, di una lotta tra opposti rappresentata in modo quieto. Alle difficoltà nei rapporti si contrappone il conflitto. C’è il desiderio di partire per difendere la propria gente, mentre chi resta affronta la solitudine. A suo modo lo potremmo definire un film pacifista: non solo per il riferimento all’Ucraina, ma anche per la serenità che si invoca tra le mura domestiche e la speranza che le passioni del cuore non cadano nel vuoto.
A essere una certezza è sempre il nostro Pierfrancesco Favino, che presta il volto al padre di Enzo. Recita in francese (lo aveva già fatto anche in Il conte di Montecristo di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte), e si conferma tra i migliori anche nel panorama internazionale. Si può essere certi che un giorno il Prix d'interprétation masculine sarà suo.