“Io ti vedo”. In fondo è sempre stato questo il cuore della questione. Dal lontano 2009, quando per la prima volta James Cameron “mostrò” al mondo, al nostro mondo, le meraviglie primordiali di Pandora.

Aria, terra, acqua (la cui via, lo abbiamo imparato tre anni fa, non ha un inizio né una fine…), fuoco. E cenere.

A breve distanza dagli avvenimenti che hanno causato la morte di Neteyam, la famiglia Sully – capeggiata dal marine diventato leader Na’vi Jake (Sam Worthington) e dalla guerriera Neytiri (Zoe Saldaña) – continua a vivere pacificamente con il clan della barriera corallina Metkayina, guidato dal saggio Tonowari (Cliff Curtis) e da sua moglie, la determinata Ronal (Kate Winslet).

Da una parte il dolore per la perdita del primogenito, dall’altra i dubbi sulla possibilità di continuare ad occuparsi dell’umano Spider (Jack Champion), il figlio del colonnello Miles Quaritch (Stephen Lang), ormai totalmente integrato con i Na’vi ma sempre costretto ad indossare una maschera che lo separa dall’aria tossica di quel pianeta: a riportare sul chi va là l’intero gruppo è una nuova minaccia che arriva dal cielo, dal clan Mangkwan, popolo della Cenere (una tribù Na’vi che vive in un territorio vulcanico) capeggiato dalla feroce Varang (Oona Chaplin, nipote di Charlie). E di lì a poco, proprio l’avatar del colonnello Quaritch, ancora sulle tracce di Jake Sully e di Spider, non tarderà a sfruttare a suo vantaggio questo conflitto.

© 2025 20th Century Studios. All Rights Reserved.
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Jake Sully (Sam Worthington)in 20th Century Studios' AVATAR: FIRE AND ASH. Photo courtesy of 20th Century Studios. © 2025 20th Century Studios. All Rights Reserved. (20TH CENTURY STUDIOS)

Dopo Avatar (2,9 miliardi di dollari, maggior incasso mondiale della storia) e La via dell’acqua (2,3 miliardi di dollari, terzo maggior incasso mondiale della storia), con Fuoco e cenere James Cameron ci invita nuovamente “a vedere”: l’immersione totale del precedente capitolo trova stavolta anche l’epica di un racconto che si fa più complesso seppur – “a prima vista”, appunto – lineare nella sua grandiosa capacità di unire la spettacolarità action all’esotismo del film d’avventura.

Non è tanto nell’introduzione di un nuovo, suggestivo e folle villain – la già citata Varang – e nemmeno nell’ormai “abituale” stupore di fronte a tali inimmaginabili livelli di perfezione tecnica (tra performance capture e visione stereoscopica così nitida), la complessità di un simile, gigantesco blockbuster – al netto di qualche déjà-vu ridondante (3 ore e un quarto di durata, d’altronde…) e meno scoperte “geografiche” – è da rinvenire nella straordinaria disinvoltura con cui si riesce ad amalgamare artificio sintetico e umanità, a spostare la profondità della visione allo scavo del “sentire”.

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Payakan in 20th Century Studios' AVATAR: FIRE AND ASH. Photo courtesy of 20th Century Studios. © 2025 20th Century Studios. All Rights Reserved. (20TH CENTURY STUDIOS)

Mai come stavolta ogni personaggio sembra finalmente appropriarsi di quella stereoscopia che non è più, non solo, elemento con cui farci vivere dentro quel mondo: Cameron mescola la Bibbia (il sacrificio di Abramo…) alla spiritualità new age, ragiona sulla corruzione dei nativi per mano umana (già, le armi…), amplifica la portata del dubbio nelle scelte da compiere (da questo punto di vista assume enorme centralità anche l’avatar di Quaritch), chiama a raccolta i pacifici tulkun (eh sì, a questo giro anche le balene si incazzano…) e invoca a gran voce – per mezzo di Kiri (Sigourney Weaver), altra figura insieme alla madre adottiva Neytiri mai così determinante – la Grande Madre Eywa: sci-fi e war movie convivono in uno spettacolo roboante e mozzafiato, che narrativamente (ed emotivamente) potrebbe/dovrebbe anche coincidere con la fine stessa della saga.

Perché il quarto e il quinto Avatar, per ammissione dello stesso Cameron, saranno un prequel dell’intero franchise per ritornare agli albori della scoperta umana di Pandora. Chi vivrà, vedrà.