Sarebbe interessante comprendere che cosa sia successo a Wes Anderson, o meglio tentare di capire dove sia finito - in questo cinema marchio-di-fabbrica color pastello e cartonati, geniale nelle premesse ma così meccanico e ripetitivo - il sentimento.
Asteroid City, che riporta il regista Usa in concorso a Cannes due anni dopo The French Dispatch, diviene la summa di un percorso che dai Tenenbaum in poi ha rafforzato la sua fanbase ma indebolito di volta in volta (anche se le belle eccezioni non mancano, da Steve Zissou a Moonrise Kingdom, passando per gli animati Fantastic Mr. Fox e L'isola dei cani) la portata di una poetica che alla costruzione narrativa, alle simmetrie esasperate, alla palette maniacale, continuasse a mantenere al proprio centro la persona, i personaggi, lo spettatore.

Asteroid City
Asteroid City

Asteroid City 

Ogni volta ci si stupisce della grandeur dei suoi cast, con attori e attrici che progressivamente si uniscono a quello zoccolo duro (Jason Schwartzman, Adrien Brody, Edward Norton, Tilda Swinton, i recenti Willem Dafoe e Jeffrey Wright, Liev Schrieber e Rupert Friend), stavolta tocca a Tom Hanks, Scarlett Johansson, Bryan Cranston, Steve Carell, Margot Robbie, Hope Davis, insomma chi più ne ha più ne metta, per ingigantire l’hype e l’ego di un regista che sembra rincorrere l’ideale di una perfezione formale sempre più a scapito di una dimensione umana. Risultato? Tutti indiscutibilmente bravi, tutti allo stesso modo dimenticabili.

Inghiottiti, anche loro, da un meccanismo che non prevede alcun guizzo, alcun sudore, alcuna verità. Per carità non che ad Anderson si chieda un cinema che non gli è mai appartenuto, ma la curiosità di provare a cimentarsi con un dispositivo che non sia così maniacalmente calcolato, arido, quasi figlio di un modellismo architettato da un’evolutissima intelligenza artificiale.

Steve Carell in Asteroid City
Steve Carell in Asteroid City

Steve Carell in Asteroid City 

Ci pare anche superfluo, tutto sommato, soffermarci sull’aspetto narrativo del film, che comunque c’è ma che è come se non ci fosse, in fondo, dato che dopo sei o sette minuti non ti interessa veramente nulla di questo racconto nel racconto, di questi attori impegnati a recitare il copione di un celebre scrittore (Norton) su un set di cartapesta che ricrea una ipotetica cittadina desertica nella Monument Valley americana, Asteroid City appunto, inquadrata nel 1955. 

Un prologo affidato al narratore esterno (Cranston), poi 3 atti (il primo giorno, il secondo giorno, la settimana dopo) e un epilogo: i riferimenti alle sitcom, a militari chiamati a custodire segreti, a ragazzini appassionati di UFO si sprecano, come si moltiplicano le infinite, incalcolabili parole, per un film dove colori, simmetrie, split screen, verbosità, le scenografie di Stockhausen, le musiche (sempre belle per carità) di Desplat e altre mille cose (compreso il Beep Beep di Willy il Coyote...) concorrono alla farcitura di una pietanza bella da vedere quanto si vuole ma insipida sin dal primo boccone. Che lascia veramente poco o nulla all’immaginazione, che annoia, finendo addirittura per infastidire.