La giovane Margherita (Ella Rumpf) schiva beautiful mind in pantofole, l’unica in un arena di cervelloni maschili - leggasi École Normale Supérieure di Parigi - sbaglia per un’imprecisione il teorema che avrebbe coronato il suo dottorato e molla pantofole, università, camera e borsa di studi. Sceglie un cascante trilocale da balineu con la prorompente Noa. Allontana e poi ricerca l’ex collega Lucas che il professor Werner (il fido Jean-Pierre Daroussin) le aveva affiancato per addottorarsi. Rimane sul lastrico, scopre il sesso e le bische con cui rimpingua il portafogli e ritarda lo sfratto usando la matematica per sparigliare nel Mahjong. Eppure le nuove spericolatezze non cancellano l’ossessione per i numeri. L’obbiettivo, tra i banchi o tra i muri di casa, rimane risolvere il chimerico teorema di Goldbach su cui sono cadute le migliori menti dell’umanità, Werner compreso. 

Forse, dell’opera terza cannense (Special Screeenings) di Anna Novion, a incuriosire è proprio questo bozzetto femminile, espressionista nella recitazione, sentimentale nella scrittura, sfumato nel contesto, minimale nell’impianto visivo, generazionale negli intenti.

Regia controllata, mobile e insieme formalista, tutta tesa ad esaltare l’istrionismo di Ella Rumpf (Raw, Tokyo Vice) qui matematica solitaria e nevrastenica, tarantolata dal sogno di bellezza e di gloria che evoca la concatenazione di numeri (primi), eppure pronta a compromettere questa magnifica ossessione per amore.

Un coming-of-age, dunque, pieno di grazia esistenziale pur nel pessimismo sociale, dal pungolo antiaccademico, dall’insospettabile venatura razziale – gli asiatici affittuari aguzzini e allestitori di bische –, eppure già applaudito in patria perché caparbio e riuscito nel risaltare e valorizzare i chiaroscuri emotivi di Margherita.

Ma la sceneggiatura (la stessa regista con Mathieu Robin), nonostante una certa solidità nei tre atti, l’inclinazione di genere e la focalizzazione interna su Margherita, non schiva i cliché di corredo dei film su matematici: la protagonista sociofobica, trasandata, mitomane; un teorema da risolvere come senso dell’esistenza; la scienza come via alla gloria; le ruggini con i padri (qui incarnato dal putativo professor Werner) e le madri (una docente di matematica, incredula di fronte alla rinuncia della figlia); gli imbarazzi amorosi e l’impaccio sessuale; l’inadattabilità al contesto; la competività; i numeri che eclissano tutto il resto (con tanto di pareti e specchi invasi da equazioni, sfilati ad Howard di A Beautiful Mind).

Anne Novion, insomma, sceglie il sentiero già battuto e conferma sé stessa, intenta com’è, per il terzo film su tre, a discutere di adolescenze turbolente e della necessità di allontanarsi dai padri per realizzarsi. In principio fu Il viaggio di Jeanne, protagonista una Anaïs Demoustier in fuga da Darroussin; in Rendez-vous à Kiruna, la prospettiva si capovolse: fu il genitore, sempre l’attore francese, a confrontarsi con un figlio misconosciuto. Ora Novion ritorna ad inquadrare una donna che rinnega sé stessa per un teorema di gloria.