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Anna
Anna Magnani, chi era costei? La risposta vale il debutto alla regia di Monica Guerritore, anche protagonista e sceneggiatrice (con la revisione dello scomparso Andrea Purgatori, cui il film è dedicato): in cartellone nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma, è Anna.
Fotografia di Gino Sgreva, montaggio di Massimo Quaglia, scenografie di Tonino Zera e costumi di Nicoletta Ercole, prende avvio nella notte del 21 marzo 1956 allorché Magnani a Roma attende in solitudine la notizia dell’Oscar per La rosa tatuata: il successo professionale stride con il dolore privato, per l’addio all’amore della sua vita, Roberto Rossellini (Tommaso Ragno), e la malattia del figlio Luca (Edoardo Purgatori), che la poliomielite lascia in stampelle.
La vittoria agli Academy Awards non ne rilancerà la carriera, anzi, e il palcoscenico – dopo una sequela di delusioni, tra cui La ciociara da Moravia che Carlo Ponti preferirà destinare a Sophia Loren – sostituirà il set, dove pure litiga con Camerini, ritrova Totò, sconta l’avversione di Pasolini, che la volle Mamma Roma e poi la ripudiò.
Accanto a lei la fidata sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico (Francesca Cellini), la governante Ada (Alvia Reale) e soprattutto l’agente e quindi confidente Carol Levi (giovane è Beatrice Grannò, poi Lucia Mascino), a metà tra coro e corte, Anna è regina del popolo, leonessa del cinema, sempre in direzione ostinata e contraria, costi quel che costi – e il cuore in primis.
Ferite, amori, memoria, Anna si fa strada tra soap opera e film sul cinema fino alla scomparsa del suo soggetto nel 1973, prendendo a bordo in un viaggio eminentemente sentimentale scene capitali, quella di Roma città aperta, trionfi inaspettati, la Palma d’Oro al festival di Cannes, relazioni perdute ma non perse, dunque Massimo Serato e Rossellini.
La naïveté è in campo, lo scult dietro l’angolo, ma la sincerità – letteralmente – non perde mai di vista l’autenticità: come la Magnani, Anna è più forte delle sue debolezze, e non ha paura. Grande merito va alla Guerritore, l’attrice più della neo-regista e della sceneggiatrice, sebbene i distinguo non tengano, ché anima e corpo s’è data al progetto, leggendone la sceneggiatura in piazza, partendo dal basso a testa alta.
La genesi stessa del mezzo biopic, crediamo, avrebbe conquistato Magnani, che torna sullo schermo con il volto, il corpo e la tempra dell’unica in Italia che avrebbe potuto assolvere non solo il ruolo, ma la missione: la Guerritore è indomita, vera, fantastica. La incarna – sì, incarna – a un’età a cui la Magnani non è arrivata, ed è l’estrema magia del cinema, di questo film fragile, appassionato, insubordinato e commovente. Buona la prima.



