Una professoressa femminista, anticonformista, disordinata, allergica a relazioni stabili, dedita a marijuana, Che Guevara e Sibilla Aleramo. Un preside reazionario, ostile agli studenti, maschilista, soffocato da catene familiari, "sterile al 99%”, amante di calcio balilla, padel e Atletico Madrid. Si incontrano per caso in autobus, si ritrovano a scuola, ma il sesso occasionale porta in dote una gravidanza inaspettata. Cresceranno insieme la bambina? 

Massimiliano Bruno riunisce il fido Edoardo Leo e Claudia Pandolfi (già visti insieme tra I migliori giorni e Follemente) per una commedia dei caratteri a sfondo sociale tutto sommato godibile, mai paternale con una visione, per quanto raffazzonata, speranzosa (se non ottimista) della società digitale.

Il brio comico è, prevedibilmente, garantito del duo principale messo l’uno contro l’altro nel classico conflitto di genere per bastonare tutte le imposizioni e le storture della cultura patriarcale. Claudia Pandolfi è una professoressa fragile ma barricadiera, alla ricerca di indipendenza relazionale come di compensativi affettivi (le alunne, gli alunni, le amiche) rispetto al vuoto genitoriale di un padre che l’ha rinnegata. Edoardo Leo mantiene il solito imbarazzo misto a velata ironia per assecondarne una recitazione fatta di sterzate di ritmo e amabile nevrastenia. S’intesta, da par suo, la parabola di un figlio di una classe agiata, schiavo di preconcetti, generalizzazioni e storture maschiocentriche, chiamato ad cestinare un pacchetto di credenze e devianze oggi inaccettabili e tossiche. Entrambi con famiglie difficili in una commedia che è soprattutto un invito a rompere i ponti con l’autorità – sempre maschili, si capisce – per assecondare sé stessi: il 

Il cineasta romano unisce a doppio filo la questione privata della genitorialità (probabilmente si è ispirato alla sua recente paternità) a quella sociale, mettendo insieme volti e rivendicazioni dell’ala progressista – sfilano anche Daniele Silvestri, Carolina Crescentini e Valerio Lundini in camei di facciata – in un feeling good movie intergenerazionale, sicuramente tra le opere più riuscite, più polemiste della sua filmografia.

Inquadra, di scorcio, brillanti universitari sfruttati in ristoranti fino a tarda notte, con risentimento misto, però, ad approssimazione. Sarà perché il focus della sceneggiatura a otto mani è altrove, nelle fragilità di adulti che si ribellano all’obbligo di una convivenza socialmente imposta, ma soprattutto tra i banchi di quella scuola riconosciuta come fonte imprescidibile di ogni miglioramento.

Pur con approccio schematico nel trattare il conflitto generazionale e qualche grossolanità (l’effetto calderone tematico non è certo schivato), Bruno nell’incoraggiare le rivendicazioni dei nostri adolescenti si gioca e bene le carte migliori della sceneggiatura scritta con Andrea Bassi, Damiano Bruè e Lisa Ricciardi.

Lo sguardo verso la nuova generazione non è mai paternale, a tratti ammirato, sempre desideroso di capire e immedesimarsi in rivendicazioni, proteste, fame di cambiamento e di rottura di catene secolari: non più debosciati incollati al cellulare, ma giovani organizzati contro tutte le storture ereditate di una cultura intossicante.

Nessuna sorpresa, allora, che anche tra i banchi le giovani donne siano il motore di un cambiamento che ha come pilastri il contrasto alle discriminazioni, la normalizzazione del piacere sessuale, il diritto al sostegno psicologico, all’educazione sessuo-affettiva, la lotta al sessismo del revenge-porn, al controllo dei corpi, all’imposizione alla maternità e alla monogamia.

A unire queste elaborazioni, la necessità assoluta di unirsi, partecipare, protestare per poter essere. Questa sì, trasmessa dalla generazione precedente.