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Un prophète - Credits Christian Mantuano
(Cinematografo.it/Adnkronos) – “Non un semplice remake, ma un'espansione filosofica e un nuovo affresco della Francia contemporanea”. Così il regista Enrico Maria Artale descrive Il Profeta, la serie in 8 episodi presentata in anteprima mondiale alla 82esima Mostra del Cinema di Venezia.
La serie è stata sviluppata dal team creativo dell'omonimo film di Jacques Audiard (Bafta come Miglior Film Straniero, Efa per il Miglior attore, nominato agli Oscar) e comprende i creatori e sceneggiatori Abdel Raouf Dafri e Nicolas Peufaillit, nonché il produttore Marco Cherqui.
Sulla scelta di adattare un film iconico al formato seriale, Artale spiega: "Ho capito che c'era la possibilità di andare oltre un semplice remake commerciale", spiega Artale. "Certo, l'aggiornamento c'è: abbiamo riportato i conflitti nella Francia di oggi, cambiando le etnie in gioco. Non più i corsi, ma lo scontro tra francesi di origine magrebina e quelli dell'Africa nera, perché la società è diventata più violenta e le differenze sociali più drammatiche".


M.Sidib, E._M._Artale, S._Bouajila - Credits Aleksander Kalka - La_Biennale_di_Venezia_-_Foto_ASAC
Però, aggiunge, "sentivo che la strada aperta dal film – quella di portare il genere carcerario verso istanze filosofiche, esistenziali, persino mistiche – poteva essere spinta molto oltre. La serie mi ha permesso di varcare del tutto quella porta". Per Artale "la maggiore durata non serve solo a esplorare i conflitti sociali, ma anche a portare l'elemento filosofico a un livello più alto, più simbolico. Da qui l'idea di lavorare con la letteratura, con l'apprendimento della lingua come percorso di elevazione, in modo ancora più drastico". La serie racconta la storia di Malik, un giovane immigrato africano, che deve tentare di sopravvivere in una brutale prigione francese, dopo essere stato incarcerato per traffico di droga. Solo e vulnerabile, incontra Massoud, un potente e ambiguo uomo d'affari che gli offre protezione in cambio della sua obbedienza. Nonostante la imprevedibile relazione di confidenza che si sviluppa tra i due, Malik si renderà conto di essere solo una pedina nel gioco di Massoud e l'unico modo per sopravvivere sarà liberarsi dal suo potere oppressivo.
Infine, una riflessione sullo stato di salute della serialità italiana, che Artale osserva con occhio critico. "Vedo una tendenza mondiale ad avere meno coraggio rispetto a dieci anni fa. In Italia, purtroppo, questa tendenza negativa la vedo molto di più. Non è colpa degli sceneggiatori, che subiscono la situazione. Si pensa erroneamente di dover fare le cose che hanno sempre funzionato. La soluzione? Dare più fiducia alle idee coraggiose e più credito a registi-autori con una visione. È per questo che mi sono tenuto stretta questa opportunità: ho avuto un controllo e un'autonomia assoluti, una cosa rara e meravigliosa".