Le riviste di cinema stanno vivendo un passaggio d’epoca. Non si tratta solo di “resistere” alla rarefazione dell’edicola: è in gioco la loro fisionomia culturale, il patto con i lettori, la possibilità stessa di continuare ad essere luoghi di pensiero, non semplici supporti. Il talk veneziano – breve per durata, ambizioso per domande – nasce per aprire un cantiere pubblico e condiviso.

Che cosa significa, oggi, tenere insieme carta e pixel? La retorica del “tutto digitale” ha prodotto, negli anni, promesse non sempre mantenute: abbondanza di contenuti, scarsità di attenzione, ricavi pubblicitari compressi, dipendenza dagli algoritmi. La carta, d’altra parte, conserva un valore simbolico e una qualità di lettura che il feed non replica. Esiste una via di mezzo praticabile – meno uscite, più “forti”; un abbonamento ibrido che non sia semplice PDF, ma servizio editoriale – o rischiamo di replicare due debolezze invece di sommare due forze?

Poi c’è la questione dei pubblici. Ha senso parlare di audience quando ciò che regge, nel tempo, sono le community e le nicchie? Le prime chiedono prossimità, ritualità (una newsletter del venerdì, un club del film, incontri in sala); le seconde pretendono competenza e cura, ma sanno riconoscere il valore pagando per contenuti, archivi, eventi. Quanti esperimenti – podcast, newsletter, formati social, persino spin-off televisivi – funzionano da imbuto virtuoso verso la rivista e quanti, invece, le rubano tempo, risorse e persino linguaggio? La domanda è scomoda, ma necessaria: quali prodotti “satellite” aiutano la carta, e quali la ostruiscono?

Accademia e archivi sono l’altra faccia della medaglia. Gli archivi delle riviste – decenni di letture, immagini, impaginati – possono restare un costo o diventare una risorsa: digitalizzazione, indicizzazione, dossier tematici, collane, podcast “dall’archivio”, percorsi didattici con scuole e università. Qui la sfida non è solo tecnica: è editoriale e civile. Se gli studenti ritrovano nella rivista un laboratorio di sguardo, la rivista torna a essere un’istituzione viva, non un cimelio. Eppure tutto questo domanda sostenibilità: governance, priorità, un portafoglio ricavi in cui membership, eventi, licensing e partnership si sommino senza snaturare la voce critica.

Infine l’AI. Può aiutare nella fatica invisibile (OCR, tagging, ricerche, schede), liberando ore per scrivere meglio; oppure rischia di appiattire, se usata per produrre il già detto. La frontiera vera non è “scrivere al posto di”, ma tutelare e valorizzare i cataloghi, definendo regole di utilizzo e forme di licensing che riconoscano il lavoro redazionale.

A Venezia – 30 agosto, ore 17:00, Sala Tropicana 1 – non cercheremo risposte definitive. Metteremo, piuttosto, alcune ipotesi sul tavolo. Che una rivista 2030 possa vivere con meno quantità e più progetto; che la comunità vada costruita con rituali regolari e non con occasionali exploit; che l’archivio sia un bene comune editoriale; che la sostenibilità passi da pochi KPI chiari (lettori paganti, retention, eventi) e non da mille metriche di vanità.

Dialogheranno Piera Detassis e Gianni Canova. Modera il sottoscritto. Inoltre, una sedia vuota sarà a disposizione della platea di direttori e giornalisti presenti. Perché il patto critico non si firma dall’alto: si negozia in pubblico, si verifica nel tempo, si coltiva insieme.

Quello veneziano è solo un inizio. Nel 2026 immaginiamo un convegno nazionale: più lungo, più denso, più operativo. Ma senza un primo, onesto, confronto – su cosa tenere, cosa cambiare, cosa provare subito – anche il futuro migliore resterebbe un titolo di lavorazione. Oggi gli diamo forma. Domani, se vorremo, gli daremo gambe.