Era già tutto previsto. Ancora prima che, di lì a un lustro, arrivasse Habemus Papam, delle profezie papaline di Moretti e dello stesso Sorrentino aveva (pre)detto il Geremia de L’amico di famiglia (2006): “Non confondere mai l'insolito con l'impossibile”.

Ecco, la Storia ha testimoniato che le dimissioni di Papa Ratzinger, l’elezione del primo Papa statunitense, Leone IV, erano fatti insoliti e, prima, audiovisivo avverante, giacché Habemus Papam, The Young Pope, The New Pope. E siffatta preconizzazione ha scorciato quel Pope in pop, con la partita a pallavolo dello psicanalista Moretti con i Cardinali, la Coca-Cola Cherry Zero e il tennis di Papa Belardo (Jude Law) – e non è finita, si pensi al Papa nero con i dread e sul T-Max de La grazia.

Il pop, che qui pretendiamo apocope di popolare, non solo s’annette l’avvento di Bergoglio, ma restituisce alla Chiesa per via cinematografica l’attributo di universale: han guardato al mondo, Nanni e Paolo, e han trovato il possibile, ovvero abbreviato il di là da venire. Con Moretti Sorrentino, e occhio che è grossa, ha condiviso il Papa e Berlusconi, sicché Loro dell’uno e Il Caimano dell’altro, alla voce potere: si dice che il regista napoletano avesse incassato l’iscrizione al Circolo Aniene per osservarlo da vicino.

Se per egli Fellini è “l’unico autorizzato a sentirsi Dio”, nondimeno “serve più fede per credere in Dio che per fare un film” – e comunque È stata la mano di Dio, il titolo autobiografico con tendenza maradoniana del 2021. Un pelo sotto Dio è, appunto, Berlusconi, che con il mascherone dell’ipersodale Toni Servillo predica che “tutto non è abbastanza”.

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