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L’unico film italiano finito dentro al concorso di Cannes 2025 si intitola Fuori. Un titolo che potrebbe valere anche come dichiarazione d’intenti: fuori dal biografismo canonico, fuori dalle gabbie del racconto lineare, fuori dai vincoli maschili che troppo spesso disciplinano la scrittura del desiderio.
Mario Martone firma forse il suo film più libero e intimo. Lo fa partendo da una rinuncia: "Volevamo fare un film su L’arte della gioia cinque anni fa – racconta –, ma i diritti erano andati altrove. Abbiamo proseguito il nostro viaggio, e quando Ippolita mi ha messo sotto il naso un altro soggetto, mi sono sentito come liberato. Un’estate a Roma, l’amicizia tra donne, il carcere di Rebibbia, il nulla che accade e il tutto che brucia”. È qui che nasce Fuori.


Matilda De Angelis e Valeria Golino in Fuori
(Mario Spada)Ma Fuori non è il fuori che oppone il dentro, è un fuori scena costante, uno sguardo ai margini dove il cinema non cerca la verità ma la vive. Il film rifiuta la cronologia, sceglie la vibrazione, restituisce una Goliarda Sapienza umana e imperfetta, vista attraverso lo sguardo d’amore di altre donne, e di un regista che ha saputo “guardare”.
“Mario – dice Valeria Golino, protagonista – ci ha guardate con attenzione. È tutto ciò che un attore desidera: essere visto, nel momento in cui serve. Ti lascia libera, ma ti protegge. E se vai fuori, ti riacciuffa e ti riporta dentro”. È un’arte del gesto minimo, quella che Martone costruisce con sensibilità femminile e rigore formale. Un’arte della relazione, che si incarna in una Roma estiva e intermittente, dove il reale si apre a fessure di sogno.
Nessuno si salva senza immaginazione
La conferenza stampa di Fuori ha il tono di una dichiarazione d’amore plurale. Tutti raccontano il processo creativo come una fioritura collettiva. “Io non dico mai la verità”, diceva Goliarda. Martone le dà ragione. Fuori è un film che gioca con il vero, ma lo fa per aprire all’immaginario. “Goliarda è realista, ma da quel realismo scaturisce l’immaginazione. La scena della profumeria l’ho girata in studio. Gli spazi si dilatano, il bagno diventa enorme, poi ritorna. Volevo che si potesse uscire dalla sala e dire: hai visto? No? Bene”.


Matilda De Angelis, Valeria Golino, Elodie Di Patrizi in Fuori - @ Mario Spada
In un’epoca ossessionata dalla verità dei fatti, Martone afferma una verità più profonda, quella che non si dimostra ma si sente. “Nessuno si salva da solo, lo sappiamo. Ma nessuno si salva nemmeno senza immaginazione. È l’immaginazione che ti restituisce a te stesso quando sei perso nella prigione del mondo”.
Un’alleanza amorosa
A incarnare questa tensione tra reale e visione è Valeria Golino, che da Goliarda si sente, ormai, “una coppia di fatto”. Il suo è un processo trasformativo e radicale: “La conobbi a diciott’anni. Mi sembrava una signora anziana, ma aveva una testa da ragazza. Mi guardava con una curiosità che io non avevo per lei. Quando sono tornata in quella casa, per interpretarla, ho avuto la sensazione che tutto avesse finalmente senso».
È un racconto che non cerca la verosimiglianza, ma una forma di reincarnazione. «Ho dovuto liberarmi di alcune cose e trattenerne delle altre. Perché interpretare Goliarda non è capirla, è esserla. Il corpo, la voce, gli occhi. Ho imparato da lei, l’ho amata, mi ha cambiato”.
Non meno intensa è l’adesione di Elodie: “Ho imparato a guardare, a respirare, a farmi guardare. Questo film mi ha insegnato l’umano”. O quella di Matilda De Angelis: “Barbara è una dea inconsapevole. Vive la maternità nei rapporti. È gelosa di Goliarda, ma poi la condivide con Roberta. L’amicizia le cambia per sempre”. La loro è una comunità sentimentale che si è costruita dentro il film, e che dal film esce – appunto – fuori, verso lo spettatore.
L’eredità di Goliarda Sapienza
A dominare il film è una figura letteraria e umana che ancora oggi scomoda, disordina, provoca. “La sua è una scrittura scavrosa, piena di intuizioni e di opacità – racconta Golino –. Ti emoziona e ti spiazza. È una femminista ma non appartiene a nessuna corrente. Non è mai definitiva, cambia idea, contraddice se stessa. È un pensiero laterale, libero, amoroso”.
Martone non fa di Goliarda un’icona, ma un corpo vivo. Ne traduce la scrittura in immagini permeabili, in una Roma che vibra di tempo e di ferite, di corpi e carceri, di dialoghi interrotti e riconciliati.
Un film femminile, non ideologico
Fuori è un film di donne, ma non è un film “a tesi”. È un’opera amorosa, fatta di sguardi e di silenzi, di parole trafitte dal desiderio e dalla memoria. Lontano dalla retorica, ma vicino alla pelle. “Goliarda non apparteneva al femminismo militante – dice Golino –. Era sempre laterale, sempre altrove. E proprio per questo, necessaria”.
Martone ne abbraccia la lezione, e costruisce un cinema che non separa i generi, ma li attraversa, che non definisce, ma lascia vivere. E così, Fuori è anche una dichiarazione d’amore al cinema stesso, come spazio comune di invenzione, di esperienza, di libertà.