Quest’anno Fuori è stato l’unico film italiano in concorso al Festival di Cannes. Ha un cast d’eccezione, in cui spiccano Valeria Golino, Matilda De Angelis ed Elodie. È tratto da L’università di Rebibbia e Le certezze del dubbio di Goliarda Sapienza. A interpretarla è Valeria Golino, che poco tempo prima aveva diretto la serie dedicata a L’arte della gioia. In Fuori vediamo la scrittrice in bolletta, siamo negli anni Ottanta. Ruba dei gioielli, finisce nel carcere di Rebibbia. Questa esperienza la cambierà per sempre. Il regista è Mario Martone, ospite della sesta edizione del Lecco Film Fest. “Cannes è un club ristretto, quindi è un onore partecipare. Si è in compagnia sempre di grandi colleghi. Il film uscirà in Francia a dicembre, siamo contenti”, spiega Martone.

Che cosa è “fuori” e che cosa è “dentro” nella nostra società?

Tutto ciò che è fuori è terribile. Dentro è l’unico posto dove si può trovare conforto. Le grandi questioni del nostro mondo sembrano irrisolvibili. È come se non si potesse intervenire su niente. Ci siamo consegnati al capitalismo sfrenato, alle tensioni perenni, alle ingiustizie sociali: ricchi e poveri sono sempre più lontani. Un equilibrio sembra impossibile. Il “dentro” è operare in aree più circoscritte, come le scuole, gli ospedali, le carceri. Qui c’è un margine per dare un senso alla propria vita. Il “fuori” fa paura. Però il presente è nelle nostre mani, quindi dobbiamo restare saldi e cercare di essere giusti.

Quando arriva sul set sa sempre dove mettere la macchina da presa?

No. Lo capisco sul set. Non faccio storyboard, non immagino le sequenze a tavolino. Per me il cinema è un’esperienza reale, immediata. Poi passo mesi e mesi a fare sopralluoghi, a immaginare, a guardare fotografie. Ma non voglio mai stabilire troppo prima delle riprese. L’accadere è importante, in chiave rosselliniana. Un esempio è la prima inquadratura di Fuori. Eravamo all’esterno di Rebibbia. Era la scena in cui le detenute cantano. Non era in sceneggiatura. Era prevista l’azione, ma non il canto. L’intuizione mi è venuta sul momento, mi è stata suggerita dal fatto che avevamo cambiato il luogo in cui agire.

Com’è stato girare un film tutto al femminile?

Le cose con Goliarda Sapienza vanno avanti da parecchio tempo. Con Ippolita Di Majo abbiamo portato in scena Il filo di mezzogiorno con Donatella Finocchiaro. E adesso Fuori. I personaggi maschili sono pochi, ma incisivi. Chiaramente è un film di donne, ma non è questa la ragione per cui l’ho realizzato. Mi affascinano le storie, le persone. Il riposizionamento tra i generi oggi è doveroso e necessario, ma non è stato il mio motore. Da regista, scelgo quello che mi piace.

Quando ha letto L’arte della gioia per la prima volta?

Quando lo hanno pubblicato nel 2008. Mi è piaciuto molto. Il paradosso è che non conoscevo Goliarda, nonostante abitassimo un mondo affine. Ero anche amico di Citto Maselli, che è stato suo marito. Ma non ci siamo mai incontrati. Ed è un peccato. Le cose sono cambiate da allora, il cinema oggi è diverso. È complesso. Secondo me il distacco attuale del pubblico dal cinema non è tanto dovuto alle piattaforme, ma ai social. Gli esseri umani hanno sempre avuto bisogno di farsi raccontare delle storie. E la rete ha invaso in modo prepotente questo campo. Ricollocare il cinema in questa situazione non è facile.

Questa non è la prima volta che viene a Lecco.

Ci sono già stato qualche anno fa. Magari qui girerei I promessi sposi, mi sento a casa. Il lago mi affascina, potrei ambientarci un film di finzione. Qui è tutto incantevole.