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Racconto d'inverno
C’è qualcosa che Éric Rohmer ha immesso nella commedia cinematografica, una sorta di dimensione scettica ed elusiva nella quale sono calati i personaggi e nella quale affondano le situazioni, senza che nulla precipiti in tragedia.
Se nella commedia classica, il momento scettico è quello che caratterizza la fase centrale della crisi della coppia, per poi procedere all’happy end finale, segnato dal riconoscimento e dalla riconciliazione – la cui esemplificazione massima la troviamo nella sophisticated comedy americana di cui ci ha parlato Stanley Cavell in Alla ricerca della felicità –, nella commedia scettica questo movimento non c’è.
In Rohmer – ed è sufficiente pensare a Racconto d’inverno e alla sua matrice shakespeariana – il personaggio femminile, Félicie, sembra abitare una zona di indecidibilità, di incertezza sulla scelta da compiere, minata dall’immagine dell’incontro ideale avuto un’estate con un ragazzo, Charles, sulle spiagge della Bretagna. Quella situazione idealizzata mina il passaggio felice al reale dell’amore. Félicie è divisa tra due uomini (un bibliotecario e un parrucchiere), non sa bene chi scegliere, e anche quando ritrova, come per miracolo, il suo Charles, sembra più spaventata che felice.
La modernità del femminile passa, in Rohmer, per la libertà di costumi e di parola, ma segna la forma di una commedia che non sembra mai attraversata dalla fiducia e dalla credenza del personaggio nei confronti di ciò che dice e di ciò che fa. Una sorta di scetticismo mina i personaggi, le cui azioni e le cui parole diventano intransitive, e tornano sulla loro strutturale ambivalenza. Abitare questa ambivalenza senza risolverla né nell’ambiguità melodrammatica (che aprirebbe alla precipitazione tragica) né nel riconoscimento commedico definisce la grande originalità di Rohmer.


Camille Cottin, India Hair e Sara Forestier in Trois amies
(Pascal Chantier - Moby Dick Films)Che ritroviamo ripresa in alcuni film contemporanei, come per esempio in Tre amiche di Emmanuel Mouret, dove la libertà e l’indipendenza del femminile sono attraversate da un sentimento scettico che fatica a giungere ad espressione, e dunque a diventare dichiarato sentimento d’amore. Per cui il soggetto arretra e abita la sua zona di ambivalenza tra sensi di colpa e desideri inafferrabili. La voce di un personaggio morto dà avvio alla narrazione, con una invenzione che trova le sue radici nella grande tradizione di una certa commedia – di cui ci ha detto Bachtin –, dove i confini tra la vita e la morte possono essere permeabili. Qui il morto con la sua parola guida l’inizio della storia, che si palesa dunque immediatamente come non verosimile.
La finzione manifesta la sua astrattezza e, non entrando in analogia mimetica con la realtà, esprime quella che si direbbe una sua morale. Qual è questa morale? Qual è il senso oggi del vivere i sentimenti e di portarli a rappresentazione?
In primo luogo, c’è la scoperta che i sentimenti non sono eterni, e sono invece preda della contingenza, che li fa essere come non essere, essere e poi più non essere. Joan, il personaggio principale tra le tre amiche, scopre di non amare più suo marito, e che i sentimenti non rispondono alla volontà. Vorrebbe amarlo ma non ci riesce, ma non riesce neanche a vivere facendo finta di niente, come fa la sua amica Alice. Joan lo dirà al marito, che per il dolore si ubriacherà e morirà in un incidente d’auto. Il senso di colpa peserà su Joan.


India Hair e Vincent Macaigne in Trois amies
(Pascal Chantier - Moby Dick Films)Nella sua vedovanza si dividerà tra chi la desidera non corrisposto, e chi lei desidera ma fugge. Il marito tornerà, in una visione, a trovarla e la libererà definitivamente dal senso di colpa. Nel finale, a una festa, Joan sembra orientarsi verso chi da tempo la desiderava, ma il suo primo passo è interrotto da chi irrompe servendole una fetta di torta. Non sappiamo chi sia, ma tanto basta a far comparire il sorriso sul volto di Joan: forse un’altra possibilità, indefinita, si apre.
La scoperta della radicale contingenza dei sentimenti fa emergere tre possibili risposte: negarla attraverso l’immaginazione di un legame simbiotico, con le conseguenze pericolose che da questo potrebbero scaturire (è la forma melodramma, sintetizzata dal “non posso vivere senza di te”); trascenderla attraverso un atto di fiducia e di credenza radicale nell’amore e nel futuro (è la forma commedia, sintetizzata dal “posso alla fine vivere felicemente con te”); abbondanarvisi, rinunciando sia alla possibilità della scelta che alla necessità della non scelta, e con ciò stesso riconsegnando la propria vita ad un scetticismo ben mascherato da parola leggera e stile levigato (è la forma della commedia scettica, sintetizzata dal “vivo con te, ma potrei anche non viverci, in ogni caso vediamo, non facciamo drammi”).


Volveréis
(La Nueva Ola)È ciò che viene esplicitamente messo in gioco in un altro film recente sull’amore e i sentimenti, Volveréis di Jonás Trueba, dove ribaltando il modello di Cavell (il cui libro viene citato ed inquadrato nel film), la coppia decide consensualmente di festeggiare la sua separazione e di comunicarlo agli amici. Anche qui tutto sembra procedere in una zona di non sofferenza, con la cancellazione di ogni attrito. Ma l’indecidibilità resta a connotare personaggi e situazioni. Come immaginare il festeggiamento di ciò che disunisce, eludendo sia l’incombere tragico del destino, che la felicità di una unione commedica?
Nuovamente, abitando lo spazio di una commedia scettica, in cui il soggetto è strutturalmente indeciso non solo rispetto al proprio futuro ma anche rispetto ai propri desideri. Questo sembra oggi l’unico spazio per rappresentare i nostri sentimenti, di cui non siamo mai certi. L’unica certezza sembra riguardare la necessità di prenderne comunque le distanze, non riconoscerli, rendendo le parole intransitive e gli atti sempre reversibili, con vuota leggerezza. È la forma inquieta di una malinconia ilare.
