Non capita tutti i giorni (neanche anni) di intervistare Woody Allen. Una volta ho avuto questa fortuna e non l’ho mai scordata. Avevo preparato circa 40 domande, era un’intervista al telefono e il mio timore di non riuscire a registrare le risposte stava avendo il sopravvento.

La voce fievole di Allen non aiutava ma la gentilezza e attenzione che mi stava dedicando mi hanno colpita e all’improvviso mi è sembrato di parlare con qualcuno che conoscevo, non solo attraverso i suoi film. L’occasione era l’uscita di Blue Jasmine (dicembre 2013) con Cate Blanchett. “Non leggo mai nulla sui miei lavori, sono sempre l’ultimo a sapere se è un fallimento o un successo” mi disse subito.

Al di là di generi e aggettivi, era un film con una forza travolgente: sarà stato per l’incredibile interpretazione di Cate Blanchett o il colpo d’ala finale. Per la leggerezza calviniana con cui Allen costruisce la storia, virando nella tragedia con infallibile precisione e lasciando lo spettatore tremante e senza fiato, una cosa è certa: il ricordo di Jasmine sarebbe rimasto vivido per intere settimane. Nata Jeanette,  beniamina dell’upper class newyorchese con un marito bello e ricco (Alec Baldwin). Ma il castello da favola si sgretola all’improvviso: il rampante uomo d’affari ha molti scheletri nell’armadio e finisce la sua vita in prigione. Jasmine rimasta al verde e scioccata dalla catastrofe si rivolge alla sorella Ginger (Sally Hawkins), che vive a San Francisco. Le due sono come il giorno e la notte: Ginger fa la commessa in un supermercato, non assomiglia per niente a Jasmine perché entrambe sono state adottate. Mentre Jasmine si attiene ancora alle regole del bel mondo, viaggia in prima classe, con la sua giacca Chanel, le perle, e la magnifica borsa Hermes. 

Gran parte della critica ha scritto che il film è ispirato a Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams. È così, Mister Allen?

Assolutamente no, è una vicenda reale, che mi ha raccontato mia moglie Soon-Yi, successa a un’amica di amici, sposata a un magnate della finanza, che è andata in mille pezzi dopo aver scoperto le numerose infedeltà del marito e frodi in stile Ponzi (Charles, l’imprenditore italiano che sbarcato in America nel 1903, ha inventato uno schema per truffare la gente, ndr). Purtroppo, non è l’unica, lo sappiamo bene. Molte altre donne si sono ritrovate in situazioni simili.

Il blu va forte, non solo al cinema: il colore di Jasmine si riferisce alla canzone che cita spesso (Blue Moon) o alla fase in cui si trova?

A entrambi. All’inizio il titolo era diverso, poi ho messo molto “blues” nel film (la colonna sonora è di Christopher Lennertz, ndr), da Louis Armstrong a King Oliver, e Blue Moon, rivisitata da Conal Fowkes, è diventata il tema principale, insieme al colore di Jasmine.

La storia mi ha fatto pensare a un altro suo film: La rosa purpurea del Cairo. Ci sono analogie tra i personaggi di Mia Farrow e Cate Blanchett?

Fuggono tutte e due dalla realtà. Mentre Mia fa una scelta radicale vuole scappare e vivere in un sogno, Cate fa finta di non sapere, chiude gli occhi consapevolmente. Però a un certo punto agisce… Avrebbe potuto dimenticare il marito, parlargli, chiedere il divorzio o andarsene. Invece è vittima del suo stesso dispetto: trascina tutti nella disgrazia. È come Medea nella tragedia greca. Del resto, quanti adulti decidono in preda a capricci?

Cate Blanchett ha detto che lei mette tutto nello script. Non lascia spazio all’improvvisazione?

È importante che gli attori possano esprimersi totalmente. Credo che si capisca vedendo la Blanchett recitare, ma non è la prima né l’unica volta. Penso ad esempio anche a Owen Wilson in Midnight in Paris. In questo caso poi, Cate è stata aiutata da un cast formidabile, da Alec Baldwin, Sally Hawkins e il resto del cast.