Nel tiro alla fune ci sono quattro metri di distanza che dividono le due squadre. Nel corso della gara, soprattutto se la sfida è equilibrata, quello scarto si allunga o si accorcia verso destra o sinistra. Come un pendolo che oscilla, allo stesso modo cambiano le possibilità di vittoria del primo o del secondo gruppo.

I film che raccontano la crisi economica e capitalistica scaturita dal default del 2008 seguono nella gran parte dei casi questo approccio ondulante. Da un lato c’è l’uomo del profitto, spregiudicato e che, in modo cinico, ragiona come una banca. Il più delle volte “giocando a essere Dio senza permesso”, come ripete Eliot nella serie Mr Robot.

Dall’altro capo c’è l’essere umano in quanto tale: il buono, lo sfruttato, colui che sopravvive, si adatta al sistema o si ribella alle sue leggi per non soccombere o rinunciare alla propria umanità. Il disastro non è solo economico, ma prima di tutto umano

La grande scommessa di Adam McKay (2015) è il film che più di ogni altro, almeno nell’immaginario collettivo, è assimilato alla crisi capitalistica di inizio secolo e, proprio a metà minutaggio, ci offre una scena esplicativa.

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