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Michel Piccoli in Habemus Papam
“Non sono credente e mi dispiace”. È la dichiarazione del regista all’uscita del suo undicesimo film, una dichiarazione espressa anche davanti al Papa interpretato da Michel Piccoli (“Lei è credente?”; “No, non lo sono”; “Male”; “Male sì, ma purtroppo è così”), bisognoso di uno psicoanalista che lo sblocchi dal panico che lo ha colto al momento dell’annuncio dalla più famosa loggia del mondo. La storia narrata da Moretti è surreale e allo stesso tempo “possibile”. Il vero tema è la fragilità umana.
Il film ha radici nella “memoria” del “gran rifiuto”, come lo definì Dante nella sua Commedia Divina riferendosi a Celestino V che sostenne il Pontificato per poco meno di quattro mesi; e nella “profezia” con le dimissioni registrate nella contemporaneità di Papa Benedetto XVI, il cui pontificato durò quasi otto anni. I due però non sono i soli dimissionari della storia della Chiesa. Accanto ai loro nomi ve ne sono altri sei, in epoche diverse, ma la cui rinuncia non fu per loro volontà.
Il film è costruito come un’opera di teatro; tre atti, l’elezione, la fuga, e il ritrovamento, aperti e chiusi da un balcone vuoto. Una rappresentazione che unisce commedia e tragedia. Protagonisti della prima sono i porporati del collegio cardinalizio, che devono svolgere e poi “subire” un conclave sino alla presentazione del Papa prescelto rimasto senza nome, perché non ha avuto modo né volontà di sceglierlo, confuso e schiacciato dal carico ricevuto dallo Spirito Santo. Con loro uno psicanalista, riconosciuto da tutti “il migliore”, che in prima istanza deve aiutare il neoeletto a superare il panico che lo angoscia, ma che si troverà suo malgrado a vivere la reclusione “cum-clave” per mantenere il segreto “cardinalizio” che va ben oltre a quello “professionale”.


Michel Piccoli e Jerzy Stuhr in Habemus Papam
Protagonista della tragedia è invece “Papa Michel Piccoli” (magnifico e credibile nella sua performance), attanagliato dalla prospettiva di dover guidare una Chiesa per la quale nutre un intenso amore e rispetto, consapevole però che l’impegno di doverla rinnovare per riportarla alla gente è troppo grave. Si direbbe “una Chiesa in uscita”, ma è azzardare un ricordo ancora troppo recente ed emotivamente condizionato.
Il peso di tale prospettiva lo getta in una depressione che non riesce a superare. Da qui la necessità di una analisi profonda, lontana da occhi e orecchie indiscrete, con l’affidamento a un’altra psicoanalista fuori dalle mura vaticane. Alla professionista si presenta come un attore bisognoso di risolvere i problemi della profonda crisi. L’occasione si rivela anche come possibilità di fuga per ritrovare se stesso, e trasformare la sua solitudine spirituale (la sinusite psichica), il suo deficit di accudimento, nel recupero della propria serenità.
L’incontro fortuito con una compagnia di teatro, che sta preparando Il Gabbiano di Anton Čechov, si rivelerà balsamico e risolutorio. L’opera dell’autore russo rivela due motivi che si ritrovano nel film. In primo luogo il libero arbitrio, indicato anche da una scritta sul muro del palazzo della psicoanalista; e in seconda istanza il tema della rappresentazione che rischia di essere ritualità, l’Habemus Papam e il pontificato come impegno di essere nella Chiesa primus inter pares nella carità (“Il papa è il primo, ma è anche l’ultimo”).


Michel Piccoli in Habemus Papam
Il finale del film è tessuto sull’intreccio della realtà e della rappresentazione al punto di confondere chi è spettatore di chi e che cosa in realtà va in scena. Sono le parole di un giovane sacerdote a risolvere la sospensione in cui vive il papa senza un nome da papa, e a guidarlo alla decisione finale. Sono troppo risolutorie per non cedere alla tentazione di riportarle: “Accogliamo queste parole che oggi vuole donarci... Sono parole per noi oggi che portiamo nel cuore desideri, sogni, progetti, ma anche preoccupazioni, problemi, paure. E tra le tante cose forse ci spaventa il periodo nuovo che stiamo vivendo. Fatti inauditi, attese che non sappiamo ancora quanto lunghe, ma che ci chiedono forse un cuore nuovo, una risposta nuova, che Dio stesso ci suggerisce in queste parole: l'umiltà e la sapienza di riconoscere che abbiamo bisogno di Dio, abbiamo bisogno del suo perdono, della sua pazienza. Abbiamo bisogno di mostrare a lui le ferite perché lui è l'unico che le può guarire”.
Il film è per Moretti il pretesto per dare adito alla sua immaginazione e per mettere in dialogo Fede e Ragione, dogmatica e positivismo, creazionismo e darwinismo, coscienza e psicanalisi, anima e inconscio, l’inferno e il nulla. Un’occasione accentuata dalla musica drammatica di Franco Piersanti e stemperata dalle trovate sarcastiche del dell’autore-attore; narrato con primi piani che colgono atteggiamenti e sentimenti, giocose ironie e disperati stati d’animo; e completati da campi lunghi selezionati da immagini di repertorio, tra cui quelle della Piazza al funerale di Papa Wojtyla, durante le fumate o in attesa dell’annuncio.


Nanni Moretti e Renato Scarpa in Habemus Papam
Notevole il sarcasmo del regista sui luoghi comuni vaticani, la presa in giro dei vaticanisti giocolieri di stereotipi, il richiamo ai cardinali australiani a comportarsi meglio con i fedeli, la semplicità dei cardinali rappresentata con la giocosità rosselliniana dei fioretti francescani, o la scena tra le rovine dei Fori Imperiali che richiama la statua del Cristo sul cielo di Roma di felliniana memoria. Rilevanti anche le interpretazioni di Renato Scarpa e di Jerzy Stuhr.
Un film che più che una pre-visione (e se ne possono vedere altre oltre a quella delle dimissioni di Papa Ratzinger) è un richiamo inconsapevole all’impegno per rivitalizzare un mandato altrimenti sterile e destinato a soccombere tra le novità del mondo contemporaneo verso il quale la Chiesa, rinnovata dal Concilio, aveva promesso di muoversi all’incontro. Un tempo di grandi cambiamenti e sconvolgimenti che richiedono capacità di incontro e comprensione. Altro che Nostradamus. Moretti con le sue “profezie” porta i credenti a reimmergersi in una rinnovata, e coerente, primavera che ponga l’uomo al centro di tutto.