“Nella storia di Edgardo c’era qualcosa di lontanissimo dalla mia vita, che si connetteva, però, in profondità con la mia esperienza.  La violenza subita, quest'obbligo, questa imposizione mi ha ricordato l’educazione religiosa che ho ricevuto quando avevo la sua età. Si basava sulla paura, su una forma di intimidazione diretta. Il catechismo che ho imparato era su forme astratte di teologia, ma la violenza consisteva nell'incutere la paura nel peccato, nel morire in un peccato mortale che avrebbe significato andare all'inferno per l'eternità. Questa violenza mi ha messo in contatto con l'esperienza di Edgardo."

Il Maestro Bellocchio sbarca al Lecco Film Fest per presentare la sua ultima gemma Rapito, storia di un bambino ebreo nella Bologna di fine Ottocento strappato alla famiglia e convertito alla fede cristiana a Roma per volere di papa Pio IX: "Abbiamo cercato di difendere la vera storia – aggiunge il regista – con delle libertà che sono obbligatorie: cerco sempre di rappresentare qualcosa che non c'è nei libri di storia".

"Una vicenda che ha infiammato l'Europa e il mondo, una ferita aperta tra la Chiesa e la comunità ebraica” secondo il presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, Davide Milani che ha dialogato intorno al film con il regista di Bobbio.

Un film sulla violenza, sul potere, sull’imposizione, ma anche sulla libertà: “Tra i tanti film che ho fatto, – nota il regista – quelli che mi piacciono di più sono stati scatti di libertà, dei momenti in cui mi ribellavo a un certo conformismo e non accettavo le imposizioni che qualcuno voleva darmi”.

Imposizioni che, circolarmente, nel suo cinema si riconnettono al tema controverso della famiglia: “Per me che sono padre e e nonno, il padre è una figura che mi si è imposta in modo autoritario, non autorevole. E per questo intollerabile. Mia madre, invece, era una persona stupida, ma non in senso dispregiativo: era stupida perché non mi capiva”.

Da I pugni in tasca, passando per Gli occhi, la bocca e Marx può aspettare, fino ovviamente a Rapito, altro rapporto controverso è quello con i fratelli: “Il mistero che mi ha spinto a fare il film è contenuto nella scena in cui Edgardo incontra il fratello mentre viene liberata Roma. Il fratello lo invita a tornare a casa, ma lui decide di rimanere con il papa, fino alla scena finale, piena di disperazione, in cui non può fare a meno di convertire la madre e riceverà un rifiuto terribile. Nel libro di Messori, è contenuta una sua piccola autobiografia in cui Mortara parla di strane e misteriose malattie che lo tengono a letto a lungo: mi interessava in lui questa sofferenza incontrollabile e inspiegabile".

Rapito di Marco Bellocchio - Foto Anna Camerlingo
Rapito di Marco Bellocchio - Foto Anna Camerlingo

Rapito di Marco Bellocchio - Foto Anna Camerlingo

Poi spazio alle confessioni personali: “Sono un non credente, non un ateo, ma l’educazione che ho e l’avrò fino alla morte, è cattolica. Ha, però, anche degli aspetti molto positivi: la grazia, la gentilezza, la discrezione, la sincerità nascono da lì”.

Sul suo rapporto con la fede, il regista si è voluto soffermare a lungo: "Se sono amico di qualcuno di cui ammiro l'intelligenza e il coraggio ed è un credente fervente, la sua fede non mi penetra, sarei falso se dessi adito a un dubbio. Guardo, però, all'assurdità della fede con estrema attenzione, è una strada comune verso la bellezza. Una rappresentazione illogica, irrazionale, che accomuna credenti e non credenti. Michelangelo, Raffaello, Tiziano sono stati un veicolo di fede per il popolo di più di tanti libri di teologi: hanno fatto passare Dio attraverso la bellezza”.

Non a caso, il regista negli ultimi mesi è stato due volte in udienza in Vaticano: “Il vostro Papa oggi è un alfiere del dialogo. Ho molto apprezzato la rinuncia a certe parole come 'la conversione’, ‘la missione', cose su cui la mia generazione si è formata. I suoi temi sono più a sinistra della sinistra, ma la sinistra è in di crisi d'identità, il PD è troppo travagliato, per cui non può non riconoscergli una serie di parole e temi che esprime. Il razzismo, l'amore per il prossimo che ci fu insegnato quando eravamo bambini, la carità, la misericordia, il non odiare sono cose rivoluzionarie per noi che ci siamo formati sull'odio di classe, sull’idea che si vince odiando, che l'odio era necessario per vincere il nemico". E poi aggiunge: "Anche il papa non può mettere in discussione la trinità o i principi, ma si schiera contro l'aborto ed è giusto perché è una cosa terribile, ma ha aperto su temi mirabili come l'omofobia".

Davide Milani e Marco Bellocchio (foto di Stefano Micozzi)

Il dialogo è stato anche l’occasione per ripercorrere tutto il suo rapporto con la critica cattolica: “Con L'ora di religione è cambiato lo sguardo dei cattolici sinceri verso il mio cinema. Lì c’è una bestemmia, ma molti di voi capirono che esprimeva una disperazione, un dolore: non era un insulto, ma una preghiera. Da lì ho visto un'apertura".

Infine, Bellocchio si sofferma su Lecco, la città de promessi Sposi: "La pandemia mi ha fatto scoprire e leggere profondamente questo libro letto a scuola, a pezzi, stramaledicendo o deridendo Manzoni. Ma è un romanzo che sintetizza la Storia d'Italia, come un altro capolavoro che suggerisco di leggere: le Operette Morali di Leopardi. Mi ha ispirato molto Elogio degli uccelli...".