E dunque Familia è fuori dal gruppo dei quindici migliori film non in lingua inglese che si contenderanno l’Oscar. La cattiva notizia però è che non è una notizia. Siamo onesti: ci credeva qualcuno?

Si dirà, ed è vero, che su Familia non è stata fatta una campagna degna di questo nome, che non si è investito davvero nella promozione americana. Ma diciamocelo francamente: con il livello dei film non in lingua inglese che c’era quest’anno, nemmeno la grazia di Sorrentino (che infatti si è preventivamente tirato fuori dalla corsa) l’avrebbe spuntata.

D’altra parte, negli ultimi dieci anni, quante volte siamo riusciti a superare le Colonne d’Ercole della shortlist e arrivare poi nella cinquina finale? Poche. Nel 2022 con È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, nel 2024 con Io capitano di Matteo Garrone, e nel 2025 con Vermiglio di Maura Delpero: una rondine in una primavera senza sole, per una Italia cinematografara piccola e fragile.

Ci consoliamo con Playing God di Matteo Burani ed Eirù di Giovanna Ferrari, entrati nella shortlist degli Oscar al Miglior cortometraggio animato.

E poi?

Sorrentino. E Garrone. Siamo ancora lì. Diciassette anni dopo la gloriosa doppietta nel palmarès di Cannes (con Il Divo e Gomorra), quando il nostro Paese rialzava orgoglioso la testa al cospetto del gran cinema internazionale, più speranzoso che convinto di aver trovato i due nuovi capitani coraggiosi del nostro bel cinema a venire, siamo qui a parlare ancora di loro.

Non ci resta che piangere o affidarci ai Paolo e Matteo, evangelisti di un cinema tricolore senza buona novella, unici due santini globali di un cinema suo malgrado sovranista (una volta si sarebbe detto provinciale). Altro che figli delle stelle, senza di loro siamo figli di nessuno.

Non è che manchino i “bravi registi”: su Cinematografo ne abbiamo individuati una ventina da tenere d’occhio, tutti giovani. Ma è un problema di sistema. Di politica culturale, di strategie industriali. Non abbiamo né un cinema medio da esportazione né un cinema d'autore abbastanza forte da scalare festival e premi internazionali. Di volti, di nomi e di aggettivi, capaci di veicolare un’idea di cinema italiano: riconoscibile, spendibile. Del resto, perché stupirsi? Il cinema italiano non è un UFO precipitato nel sistema-Paese: è il suo specchio. Abbiamo forse una politica migliore, una cultura più audace, un discernimento più onesto? Ci siamo raggomitolati su noi stessi: non protesi, ma ripiegati; non distratti altrove, semplicemente incapaci di guardare lontano. Niente orizzonti, niente futuro. Siamo rimasti a casa nostra, per istinto di sopravvivenza.

Diciamocela tutta: il declino del cinema italiano somiglia fin troppo al declino italiano. Se non del tutto - ci restano il tennis e la tavola, due eccellenze che si esportano da sole - almeno in larga misura. È un declino che ricorda quello dell’altro grande totem nazionale avvizzito, il calcio. Forse lo precede e, a ben vedere, potrebbe durare di più. Cinema e Calcio, “C” a parte, hanno condiviso a lungo la stessa magia: farci fieri di noi stessi. Amati in patria, rispettati fuori. Non erano solo vittorie, ma l’espressione di un paese che vi riconosceva una parte essenziale di sé, da proteggere ed esibire.

Anche la nostra critica ci ha messo del suo. Negli anni Cinquanta i Cahiers du cinéma hanno salvato il cinema francese (e forse non solo quello) menando duro - metaforicamente parlando - il cinéma du papa. Ecco, forse nel nostro piccolo, dovremmo iniziare a coccolare meno e incalzare di più il nostro cinema di mammà, di fratema e sorema. Meglio la cattiveria che la piaggeria. Solo perché ci raccontiamo che va tutto bene, non andrà tutto bene: al massimo, andrà avanti così.

Questa la shortlist dei 15 per il Miglior film internazionale:
Argentina, Belén
Brasile, L’agente segreto
Francia, Un semplice incidente
Germania, Il suono della caduta
India, Homebound
Iraq, La torta del presidente
Giappone, Kokuho
Giordania, Tutto quello che resta di te
Norvegia, Sentimental Value
Palestina, Palestine 36
Corea del Sud, No Other Choice – Non c’è altra scelta
Spagna, Sirât
Svizzera, L’ultimo turno
Taiwan, La mia famiglia a Taipei
Tunisia, La voce di Hind Rajab