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Lea Massari in Soffio al cuore
Lea Massari è morta lunedì 23 giugno a Roma. Lo rende noto Il Messaggero, a esequie avvenute in forma strettamente privata, nella cattedrale di Sutri (Viterbo). Un addio lontano dai riflettori, come l’ultima parte della vita di una delle più grandi attrici italiane, ritiratasi a vita privata dal 1990. Il prossimo 30 giugno avrebbe compiuto 92 anni.
Nata nel quartiere romano di Monteverde Vecchio, la borghese Anna Maria Massatani si scelse da sola un nome d’arte: Lea per omaggiare il fidanzato Leo, morto prematuramente in un incidente stradale pochi giorni prima del matrimonio; Massari come leggera variazione del vero cognome. Anna Maria Massatani è stata Lea Massari per trentasei anni, tanto è durata la sua carriera. Qualcuno ha provato a sottrarla alla pensione (come Ferzan Özpetek che pensa a lei per il ruolo della zia in Cuore sacro), salvo poi scoprire che il ritiro non era negoziabile. Per la signora, la vita veniva prima.


Grande sabotatrice della retorica, Lea Massari così si descrive a Oriana Fallaci, che la intervista nel 1964: “Io fino a oggi sono stata una persona innamorata di due sole cose: della rissa e dell’amore. E così ho passato la vita ad alzar barricate, a battermi con forsennati come me: innamorati della rissa e dell’amore come me”. A patrocinarle l’ingresso nel cinema nel 1954 è Piero Gherardi, il geniale scenografo e costumista che la vuole sul set di Proibito (adattamento de La madre di Grazia Deledda) come assistente visto che la ragazza ha fatto studi artistici. Notata da Mario Monicelli, diventa l’austera e sensuale protagonista divorata dal conflitto e dalla vergogna poiché innamorata di un prete.
L’esperienza non sembra delle migliori ma Renato Castellani le cuce su misura il ruolo da eroina popolare nel magnifico melodramma I sogni nel cassetto (1957). A differenza di altre colleghe, si impone subito come un cane sciolto: rifiuta un contrattone hollywoodiano della Paramount, non cede alle richieste di Angelo Rizzoli e sceglie di apparire in un film in cui il suo personaggio scompare a mezz’ora dall’inizio. Solo una persona istintiva e intelligente come Lea Massari poteva accettare L’avventura di Michelangelo Antonioni (1960): la sua Anna, nauseata da tutti, sparisce ma fa inciampare tutti nella sua assenza.


Lea Massari e Alberto Sordi in Una vita difficile
Corpo contundente, mina vagante, presenza scomoda, animale raro in un mondo pieno di adulatori, la ribelle Massari non si rende la vita facile. Su sessanta crediti tra grande e piccolo schermo, i registi che la dirigono sono ben cinquantacinque, ventinove gli italiani. Non è contabilità ma sostanza. Balla da sola, senza padrini né patroni: non si lega a un produttore, non è la musa di alcun autore, non bazzica le cronache mondane, non piega il gossip a suo favore.
I suoi film parlano per lei: brilla nella commedia all’italiana al suo massimo splendore, Una vita difficile di Dino Risi (1961), in cui è la moglie di Alberto Sordi, tanto innamorata e affettuosa quanto esausta per le troppe rigidità ideologiche del marito; I sogni muoiono all’alba (1961) kammerspiel sulla Rivoluzione ungherese in cui canta anche la title track (era anche una cantante appassionata, con il Brasile nel cuore); e poi, spesso da comprimaria, La giornata balorda di Mauro Bolognini (1960), Il colosso di Rodi di Sergio Leone (1961), Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy (1962), I cavalieri della vendetta dell’allora sconosciuto Carlos Saura (1963), Le soldatesse di Valerio Zurlini (1965), Il giardino delle delizie dell’esordiente Silvano Agosti (1967), lo spaghetti western Lo voglio morto di Paolo Bianchini dove fa una messicana (1968).


Lea Massari e Alain Delon in La prima notte di quiete
Tra un appuntamento mancato (Federico Fellini la vorrebbe in 8 e ½, ma il provino non convince e il ruolo passa a Anouk Aimée) e la parentesi pop del musical Rugantino, Lea Massari scopre la Francia (e viceversa): nello splendido Il ribelle di Algeri di Alain Cavalier (1964) è un’avvocata che si mette in fuga con il disertore Alain Delon. E con il divo francese la chimica è innegabile: in entrambi il romanticismo sconfina nel dolore e l’amore ha a che fare con la morte, come dimostra il loro secondo incontro, l’indimenticabile La prima notte di quiete ancora di Zurlini (1972).
Per il cinema francese dei primi anni Settanta è una presenza irrinunciabile: è uno dei vertici del triangolo de L’amante di Claude Sautet (1970) con Michel Piccoli (partner ideale: tre volte insieme) e Romy Schneider, donna del bandito in La corsa della lepre attraverso i campi di René Clément (1972), figura quasi hitchcockiana in Le femme en bleu di Michel Deville (1972) e soprattutto la mamma incestuosa e vitale di Soffio al cuore (1971), fortemente voluta da Louis Malle malgrado le imposizioni dei produttori (e lei, con un ingaggio quasi simbolico, lo citava sempre come il suo film del cuore).


Nella natia Italia, invece, è la televisione a darle più spazio: Sandro Bolchi, per cui fu memorabile Monaca di Monza ne I promessi sposi (1967), la richiama per I fratelli Karamazov (1969) e naturalmente Anna Karenina (1974); più tardi, Marco Leto ne esalta il carisma per Quaderno proibito (1980) tratto da Alba de Céspedes e Una donna spezzata (1988) da Simone de Beauvoir, due scrittrici che sembrano aver scritto pensando inconsciamente al volto di Lea Massari.
E il cinema? Poco ma buono, selezionato con cura: l’amante dell’ex giacobino in Allonsanfàn dei fratelli Taviani (1974), la cognata di Antonio Gramsci in I giorni del carcere di Lino Del Fra (1977), la sorella di Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi (1979, Nastro d’Argento), la generosa e fragile mamma della terrorista in Segreti segreti di Giuseppe Bertolucci (1984), l’estremo Viaggio d’amore di Ottavio Fabbri (1990). Gli ultimi anni sono votati alla causa animalista e alla discrezione. Qualche rara intervista, quasi nessuna celebrazione. L’avrebbe meritata, ma forse non se ne doleva.