Cinque anni di riprese, tre ore e mezza di durata - e a venire altre cinque e più ore che in dittico o trittico chiuderanno il progetto - dedicati ai giovani operai provenienti da zone rurali del distretto tessile di Zhili. È Qingchun, ovvero Youth (Primavera), del cinese Wang Bing, unico e fluviale documentario in Concorso a Cannes 76. Wang Bing lo conosciamo, dai veneziani The Ditch (2010) e Bitter Money (2016), già vocato al tessile, a Dead Souls nel 2018 a Cannes, dove quest’anno porta anche Man in Black: è un maestro dell’osservazione, duro e puro, senza sconti e con speranza. Fa della realtà, non facendo nulla o quasi, una buona approssimazione di verità, dando alla macchina da presa una posizione osservante, di un’osservazione però morale: non solo ci fa vedere, ma ci guarda, sicché quel che vediamo finisce per riguardarci.

Trentenni, ventenni e anche meno, gli impiegati tessili di Youth non hanno nulla di straordinario se non essere sé stessi, nondimeno vi troviamo un interesse, che non è solo antropologico, sociologico o “operaistico”: è l’osservazione di Wang Bing a farne insieme soggetto umano e oggetto filmico. Si sorride quando uno di questi promette di finire a far l’attore in tv: meglio Cannes, no?

Stanze brulicanti di ragazzi e ragazze e sferraglianti di macchine per cucire, annessi dormitori con condizioni igieniche precarie, vuoi per i rifiuti ovunque o per l’acqua in thermos da decidere se per lavarsi i piedi o rianimare i noodles, diecimila yuan ossia milletrecento euro - nel migliore dei casi al mese - per un lavoro pressoché non stop, svolto al netto degli smartphone e dello stereo in ambiti ottocenteschi, con 0,66 euro per confezionare una giacca, 0,53 per un pantalone.

Il cottimismo è il sapore della fabbrica, l’ottimismo della vita, perché malgrado tutto la speranza non si perde, e la riscontriamo sopra tutto nei rapporti trai sessi, in una parità di genere che è risata, sovente infantile, schermaglia e solidarietà. E corporativismo, nelle contrattazioni con i padroni. Tutto in contanti, tutto al pezzo, vestitini per neonati cinesi e non, più qualche centinaio per le spese di viaggio, per tornare al paese, alla campagna avita.

Si stringe il cuore quando optano per il delivery o sempre online comprano un giubbino fatto magari tre vie più sotto, viceversa, gira altro quando si ripromettono di andare a cena al ristorante del padrone, “chef bravissimo”: la lotta di classe l’è morta, il socialismo pure, il falansterio seppellito, l’ipercapitalismo non sventola bandiera bianca. Al più, può essere alleviato e calmierato dall’iniziativa dei singoli – conta il buonumore, par di capire – ma la concertazione sociale può attendere.

Radicale (camera a spalla, nessun ritocco estetico, nessuna accentuazione drammatica) nell’osservazione e solidale nel precipitato, sfrontato nel cinema e accorato nell’umanità, Wang Bing può molto. Anche in palmares?