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Un poeta di Simón Mesa Soto (2025)
Dopo il successo internazionale con Amparo e la Palma d’Oro al cortometraggio per Leidi, Simón Mesa Soto affronta con il suo secondo lungometraggio, Un Poeta , una commedia feroce e straordinariamente caustica, che disseziona con precisione chirurgica le pulsioni cannibali di una società colombiana divisa fra ambizioni frustrate e cinico opportunismo.


Un poeta di Simón Mesa Soto (2025)
Al centro del film, un irresistibile Óscar Restrepo (Ubeimar Ríos, straordinario non-attore dalla presenza magnetica), poeta e insegnante decaduto che vive tra malinconici rimpianti e mediocri velleità. L’incontro con la giovane e talentuosa Yurlady (Rebeca Andrade), proveniente da un barrio poverissimo, gli offre l'illusione di un possibile riscatto personale, ma presto la relazione pigmalionica rivela il suo lato più oscuro e cannibale: il talento della ragazza diventa carne fresca su cui si gettano avidamente tutte le istituzioni culturali della città.
Con cinica lucidità degna del miglior cinema wilderiano, Mesa Soto rappresenta scuole di poesia e premi letterari come conventicole parassitarie, in cui giovani poeti vengono spolpati della loro autenticità, sacrificati sull’altare della vanità intellettuale assistita. Non meno feroce è lo sguardo bunueliano sulla classe subalterna: vittime e carnefici si confondono, con i poveri ridotti a furbastri di piccolo cabotaggio, pronti a cannibalizzare le proprie miserie per un briciolo di vantaggio economico, con un cinismo che evoca la cattiveria grottesca di film come Bellissima di Luchino Visconti o la feroce satira di Little Miss Sunshine di Jonathan Dayton e Valerie Faris.


Un poeta di Simón Mesa Soto (2025)
Ma la forza di Un Poeta risiede soprattutto nella scrittura brillantemente corrosiva, che alterna sapientemente registri comici e tragici, e in una messa in scena che enfatizza il paradosso stridente fra la retorica alta della poesia e la cruda bassezza del quotidiano. Girato in Super 16mm con una fotografia graffiata e sporca che rimanda a un realismo underground, il film regala momenti di rara comicità corrosiva, come la scena nell’urinatoio maschile, simbolo perfetto di come la retorica dell’arte, privata di ogni mistificazione romantica, finisca spesso per coprire dimensioni ben più prosaiche della vita.
La relazione mentore-allievo ripresa da Mesa Soto non ha niente della dolcezza edificante di pellicole più rassicuranti: qui riecheggiano piuttosto l’ossessione autoassolutoria della madre interpretata da Anna Magnani in Bellissima, o il patetico inseguimento della fama familiare di Little Miss Sunshine, dove l'ambizione adulta cannibalizza cinicamente l'innocenza giovanile. Come in queste opere, la dinamica narrativa è pervasa da una tensione costante, che il regista mantiene sempre sull’orlo della catastrofe comica e umana.


Un poeta di Simón Mesa Soto (2025)
Attraverso questo registro sapientemente calibrato, Mesa Soto ci offre una rappresentazione affilatissima e implacabile della Colombia contemporanea, segnata da una competizione brutale per la sopravvivenza, dove il talento autentico rischia sempre di essere fagocitato dalla mediocrità organizzata.
Significativamente autobiografica, la figura di Óscar è una maschera tragicomica delle ansie dell’artista, del suo perenne rischio di diventare una caricatura cannibale delle proprie ambizioni frustrate. L’autore, come il protagonista, riflette ironicamente sul proprio destino, con uno sguardo che riesce a sorridere amaramente anche davanti al peggio.
Così, alla fine di una pellicola in cui bellezza e squallore si inseguono in un grottesco balletto, Mesa Soto trova il miracolo di un barlume poetico proprio nel punto più basso e sporco della narrazione. Forse, ci suggerisce con astuta ironia il film, aveva ragione Bukowski quando scriveva:
«Trova ciò che ami e lascia che ti uccida».
La redenzione più bella arriva quando anche l’ultima speranza se n’è già andata.