Un film scritto con la cinepresa, dove i movimenti di macchina e le immagini svolgono i compiti normalmente affidati al copione. Sono l'immediatezza, l'autenticità, il coinvolgimento, i pregi maggiori di un film dalla struttura corale, che colpisce perché fa esplodere l'energia compressa di un gruppo di autentici detenuti del carcere "Le Vallette" di Torino. Ma non si pensi ad un documentario: Tutta colpa di Giuda è un curioso, rischioso e riuscitissimo esperimento fra commedia e musical, che racconta la genesi di uno spettacolo teatrale, basato sulla passione di Gesù, che una giovane regista, impersonata da Kasia Smutniak, il più bel volto del cinema italiano di oggi, mette in scena all'interno del carcere.
Nonostante l'ambientazione, si parla più di religione, del conflitto fra fede e ragione, piuttosto che di problemi carcerari, e c'è perfino spazio per una imprevedibile storia d'amore fra la protagonista e il direttore del carcere.
Insomma, per una volta, il massimo di realismo con gli attori, che a parte un quartetto di professionisti sono interpreti improvvisati che recitano se stessi, viene utilizzato per ottenere il massimo di finzione. Un procedimento apparentemente paradossale, di grande effetto.