“Dona il tuo volto all’AI”.

Certe volte è davvero incredibile quanto il cinema riesca ad essere totalmente centrato e al tempo stesso fuori luogo se contestualizzato ai giorni che stiamo vivendo.

Proprio all’indomani dell’annuncio circa l’accordo raggiunto tra studios e sceneggiatori, con questi ultimi in sciopero da quasi 150 giorni (e con il sindacato degli attori ancora in lotta dallo scorso luglio), ecco che arriva nelle sale di tutto il mondo (dal 28 settembre in Italia) The Creator, nuovo film pensato e diretto da Gareth Edwards (Rogue One) che prefigura un futuro prossimo in cui l’umanità (o meglio, una parte di essa) è in guerra aperta con l’intelligenza artificiale (o meglio, con il frutto delle sue infinite potenzialità).

A riconoscere la straordinaria coincidenza del momento è lo stesso regista: “Il tempismo di questo film è surreale. Anche se abbiamo sviluppato questo film per anni, la sua uscita avviene in un momento affascinante in cui il mondo sta lottando con molte delle questioni e degli interrogativi che volevamo affrontare con il film: cosa significhi essere umani, se l’AI possa essere senziente, la questione del bene e del male tra l’AI e tra le persone. Penso davvero che esplorare questi interrogativi sia ciò che la fantascienza sa fare meglio”.

Nulla di nuovo sotto il sole di una sterminata letteratura e filmografia che già in passato, e forse meglio, aveva prefigurato simili scenari, ma fa davvero riflettere come The Creator finisca per cavalcare una tesi – schematizzando in maniera brutale: l’AI è tutt’altro che una minaccia – che di fatto ribalta in maniera decisiva le ragioni di chi, autori, sceneggiatori, attori, in questi mesi hanno gridato a gran voce contro lo spauracchio di una tecnologia che, da qui a breve, potrebbe non solo “replicare” ma addirittura sostituire l’ingegno umano.

Certo, alla base di tutto il discorso c’è come sempre l’agire della nostra specie: si parte con un breve preambolo stile spot che dalle prime sperimentazioni robotiche conduce all’ultima frontiera dell’interazione uomo-macchina, i simulant, androidi dalle sembianze pressoché identiche agli esseri umani ormai integrati in tutto e per tutto nella società. Ma un evento catastrofico – pare causato proprio dall’intelligenza artificiale – riduce Los Angeles in cenere. Il mondo occidentale risponde mettendo al bando l’AI, mentre la Nuova Asia continua a sviluppare queste tecnologie e a considerare i robot al pari degli esseri umani.

“Non sono persone. Sono programmazione”.

È questo il quadro che conduce, nel 2065, ad una guerra tra Occidente e Oriente (ci risiamo…): Joshua (John David Washington) è un soldato americano che opera sotto copertura in Asia, durante un attacco viene brutalmente separato dalla moglie Maya (Gemma Chan). Credendola morta, torna negli Stati Uniti. Cinque anni dopo l’esercito gli chiede di tornare in quei luoghi perché a quanto pare Nirmata (il Creatore, appunto) ha ideato un’arma capace di far vincere la guerra all’Oriente, e che quest’arma stia per essere impiegata. Vogliono che Joshua trovi l’arma e la distrugga. Arrivato lì, però, Joshua scopre che l’arma è una bambina di sei anni, che lui ribattezzerà Alphie (Madeleine Yuna Voyles). Da quel momento, Joshua inizia a mettere in discussione tutto ciò che pensava sull’AI e su cosa sia reale e cosa no.

John David Washington in The Creator
John David Washington in The Creator

John David Washington in The Creator

Visivamente coinvolgente – la scelta di non ricreare tutti gli ambienti in studio paga: 80 le location disseminate in otto Paesi, tra cui Thailandia, Vietnam, Cambogia, Nepal, Giappone, Indonesia, Regno Unito (i Pinewood Studios di Londra) e Stati Uniti (Los Angeles) – The Creator è però tremendamente derivativo per temi e rimandi, cita senza troppi sforzi un immaginario che va dalla megalopoli notturna di Blade Runner alla testa del colonnello Kurtz che riemerge dalle acque in Apocalypse Now (non manca neanche una scena che fa molto Vietnam con i soldati USA che minacciano i poveri contadini di un villaggio remoto), adottando un registro che è quello della sci-fi che all’avvenirismo di certa tecnologia (i simulant, certo, ma anche Nomad, la nave madre degli umani che sovrasta i cieli e può disintegrare qualsiasi luogo o popolazione nemica in un batter d’occhio) contrappone la ruralità e il misticismo di luoghi dove ancora regnano rituali ancestrali (fascino vagamente retrò anche restituito dalla grana delle immagini che non può non ricordare il bel District 9 di Neill Blomkamp).

Gemma Chan in The Creator
Gemma Chan in The Creator

Gemma Chan in The Creator

A tratti inverosimile (vedi l’esito di alcune battaglie e sparatorie, poi non tornano alcuni allacci di scrittura nel momento in cui verso il finale si svelano questioni del passato relative a Maya, ma soprattutto fa sorridere che Alphie riesca a manipolare con la mente qualsiasi tecnologia ma non è in grado di aprire un vetro di una capsula di salvataggio…) ma fortunatamente sorretto da un ritmo indiscutibile, The Creator finisce per essere troppe cose assieme, una sorta di frullatore in cui la nostra memoria audiovisiva viene forzatamente risollecitata per essere messa al cospetto di questo uomo (a pezzi, non solo metaforicamente, visto che ha un braccio e una gamba artificiali) e questa (simil) bambina nel cammino condiviso di una conoscenza reciproca. E di un affetto pacifico.

“Allora siamo uguali: non andremo in paradiso. Perché tu non sei buono. E io non sono una persona”.