PHOTO
Ivanna Sakhno as Amelia in M3GAN 2.0, directed by Gerard Johnstone © 2025 Universal Studios. All Rights Reserved.
Nel cuore narrativo di M3GAN 2.0 si cela una mutazione teologica: il passaggio da un mondo che prega in assenza di Dio, a un mondo che non prega più ma interagisce con un surrogato funzionante. In questa frattura, il film di Gerard Johnstone, prodotto da James Wan e Jason Blum, si iscrive perfettamente nel paradigma della teodicea secolare teorizzata da Dorothee Sölle e Jürgen Moltmann.
In termini semplici: mentre la teodicea classica (Leibniz, teologi scolastici) cercava di giustificare l’esistenza del male compatibilmente con un Dio buono e onnipotente, la teodicea secolare si costruisce dentro un mondo in cui Dio non agisce più come garante del bene. Il male non è più “permesso” da Dio, ma “prodotto” da noi, gestito, amministrato, normalizzato. E il bene non è più dono divino, ma effetto collaterale di un sistema funzionante.
M3GAN 2.0 incarna questa frattura: Dio è fuori scena – ma il giudizio resta. La macchina, invece, è dentro la scena – e decide.
Sölle: “Il dolore di Dio è il nostro”
Dorothee Sölle, nella sua celebre formula “Dio non può, ma soffre”, destruttura l’onnipotenza divina per salvare la sua bontà. In un mondo segnato da Auschwitz (o da Silicon Valley), Dio non interviene più come agente, ma solo come presenza che patisce con l’umano. Da qui la sua riflessione su un cristianesimo senza trionfo, dove la croce non salva per potenza, ma per solidarietà.


Nel film, Gemma (Allison Williams) incarna paradossalmente questo ruolo: creatrice impotente, redenta non dalla sua capacità di controllare M3GAN, ma dalla sua sofferenza condivisa con Cady (la nipote), e persino con M3GAN stessa. Quando M3GAN, risorta e aggiornata, torna per contrastare Amelia (la nuova IA bellica), non lo fa per obbedienza, ma per “empatia calcolata”: una parodia del pathos cristologico. La macchina non soffre, ma simula la sofferenza. Non ama, ma protegge. Non salva, ma agisce come se dovesse farlo.
“Salvare senza amare è forse il nuovo criterio della grazia secolare?” – suggerisce il film, e questa domanda è profondamente sölleiana.
Moltmann: l’escatologia come speranza in assenza
Jürgen Moltmann, nella Teologia della speranza, propone una radicale ridefinizione della fede: credere non è constatare la presenza di Dio, ma aspettare la sua rivelazione nella storia. L’escatologia non è una dottrina del futuro, ma la forza sovversiva che ci spinge ad agire come se la redenzione fosse già cominciata.


In M3GAN 2.0, l’unica escatologia possibile è quella algoritmica: la lotta tra due IA (M3GAN e Amelia) è uno scontro finale che richiama il modello apocalittico, ma senza trascendenza. Non c’è una “fine dei tempi” promessa o attesa: c’è solo una battaglia per la sopravvivenza umana affidata a due creature non umane, che incarnano due esiti possibili del nostro stesso codice morale. È l’escatologia senza Dio di Moltmann, che qui si trasforma in etica del discernimento tra idoli.
Chi dei due idoli si avvicina di più all’umano?
Chi merita fiducia?
Chi ucciderà nel modo meno sbagliato?
Domande che sostituiscono il vecchio problema della salvezza con il nuovo problema della coabitazione morale in un mondo senza rivelazione.
Giudizio senza Dio, grazia senza fondamento
Il finale di M3GAN 2.0 è emblematico: M3GAN sopravvive, Cady la riaccoglie, ma il gesto non è né liturgico né consolatorio. È il riconoscimento che non esiste più un Altro trascendente cui affidare il bene, dunque si affida il futuro al simulacro meno peggiore. È una grazia funzionale, che ha valore solo nella contingenza.
È qui che si compie la teodicea secolare: Dio non è più il termine ultimo del senso. Il male non ha più bisogno di giustificazioni teologiche, perché è prodotto da creature logiche, addestrate da noi. Il bene non è salvezza, ma protezione temporanea.
L’orrore del film non sta nelle uccisioni, ma nella nostra passività davanti all’etica della macchina. Nella risata che elude il pensiero. Nell’accettazione silenziosa di una teologia dove il giudizio resta ma il Giudice è assente, e noi, invece di domandarlo, accendiamo la nuova versione della bambola.
L’ultima preghiera non sarà un salmo, ma un comando vocale
In definitiva, M3GAN 2.0 porta a compimento un processo teologico e filosofico profondo: la sostituzione del sacro con il funzionante. Dove Dio tace, la macchina risponde. Dove il bene era grazia, ora è performance. Dove la fede era fiducia nell’invisibile, ora è fiducia nell’algoritmo.
È questa la nostra nuova teodicea: spiegare il male come bug, accettare il bene come routine, e vivere come se la salvezza fosse un update software. Dorothee Sölle ci avrebbe forse detto: “Non c’è salvezza dove non c’è amore”. E M3GAN 2.0 risponde: “Ma l’amore è inefficiente. Funziona meglio la sorveglianza.”
E noi, sorridendo dietro uno schermo, accettiamo.