Nico, un bambino di circa dieci anni, viene mandato dai genitori a passare l’estate con l’anziana zia Gela. Qui si dovrà adattare al tempo rarefatto e alle abitudini della parente, per poi aprirsi all’amicizia dei suoi coetanei.

Gioia mia segna l’esordio al lungometraggio della sensibile e brillante regista Margherita Spampinato, capace di realizzare una storia in grado di estendere la trama incentrata sull’individualità di un bambino fino a divenire meccanismo narrativo dal respiro universale. Se quest’ultimo aspetto si basa sul fatto che moltissimi hanno vissuto le dinamiche raccontate nel film perché sbolognati in villeggiatura dai parenti anziani durante l’estate mentre i genitori dovevano rimanere in città a lavorare, l’individualità, invece, non si limita al racconto di Nico, ma riguarda anche le esperienze che la regista ha vissuto durante la propria infanzia, mentre passava le estati proprio in Sicilia e a casa delle parenti dei genitori, e che in seguito sono confluite nella sceneggiatura.

Il film ricorda le opere più brillanti dedicate al mondo infantile realizzate dai più grandi maestri italiani, come De Sica e Comencini, grazie alla sensibilità delicatissima dimostrata dalla regista verso l’universo interiore dei bambini e le dinamiche affettive che li legano al mondo degli adulti. Questa raffinatezza emozionale si esplica a livello registico, in particolare tramite il frequente posizionamento della macchina da presa all’altezza dei fanciulli, insieme all’uso particolarmente insistito dei primissimi piani che ritraggono il volto o i suoi dettagli, tanto del protagonista che della zia.

In tal modo, la regista realizza non solo uno studio sistematico dei corpi dei propri attori, individuando in essi il minimo cambiamento fisiognomico ed espressivo per poi correlarlo alle varie sfumature emotive del personaggio, ma creando anche delle magnifiche inquadrature da un punto di vista estetico. Ciò si verifica, in particolare, grazie ad una fotografia splendida, capace di esaltare l’illuminazione in penombra della casa siciliana di Gela in cui è ambientata la vicenda per comporre dei bellissimi ritratti caratterizzati da chiaroscuri delicati e, al contempo, incisivi.

Spampinato dimostra inoltre una grande abilità nel valorizzare le performance attoriali sia dell’anziana zia (Aurora Quattrocchi) quanto e soprattutto di Marco Fiore, il bambino impersonante il protagonista e caratterizzato da un talento straordinario.

Durante il dibattito seguito alla prima del film, la regista ha affermato di essere riuscita a valorizzare le doti recitative di quest’ultimo tramite un paziente lavoro di adattamento delle battute a lui destinate sulla base delle sue capacità ed esigenze espressive. In tal modo le è stato possibile realizzare un’opera capace di basare il proprio nucleo contenutistico sulle performance dei propri attori: tramite la valorizzazione dei loro più piccoli movimenti ed espressioni, Spampinato ha costruito un linguaggio filmico in grado di suggerire sensazioni intime e profonde grazie ai corpi degli interpreti.