L’adolescenza come uno “strano fiume”: se ci nuoti dentro la navigazione è fluida, possono succedere tante cose, anche inattese, per prima trovare se stesso. E’ l’idea che serpeggia alla base di Strange River (Estrany Riu), il film di Jaume Claret Muxart a Venezia nella sezione Orizzonti. Un racconto spagnolo, anzi catalano, che si apre con un giovane che sfreccia in bicicletta in campagna insieme ai familiari; all’improvviso rivolge uno sguardo in camera, ossia a noi, che è già una dichiarazione d’essenza, che già dice io ci sono.

Titoli di testa. Il ragazzo si chiama Dìdac, interpretato dalla rivelazione Jan Montier, e passa l’estate tra lunghe pedalate in bici sulle sponde del Danubio. Non solo, vi si immerge e crede di vedere una figura maschile sottomarina che si dirige verso di lui. Il regista si mostra coraggioso e abile a filmare il nudo, ad accarezzare i corpi nell’acqua senza voyeurismo, senza malizia, semplicemente li percorre per catturarli come sono: involucri adolescenti alla prova dello sviluppo.

Jan Monter in Strange River
Jan Monter in Strange River

Jan Monter in Strange River

Tra parentesi: in un festival molto arido di nudo ed eros (Ozon fa eccezione), è un piacere vedere qualcuno che non rinuncia a girarlo come forma di auto-censura… Quando e perché i registi hanno smesso di filmare i corpi? Tornando all’intreccio, Dìdac passa l’estate coi genitori e col fratello minore di due anni; il rapporto con madre e padre è abbastanza complicato, la mamma è un’attrice che cerca di trasmettere una certa cultura, ma con una vena narcisista, mentre il papà sa bene che il figlio è gay e gli chiede direttamente di possibili amori. Alla fine, però, malgrado le difficoltà il racconto diviene anche un omaggio alla famiglia e alla sua sensibilità nell’accompagnare il cambiamento.

L’ipotesi si concretizza nell’incontro con Alexander, giovane come lui. Qui ecco gradualmente sbocciare il sentimento, ma anche l’attrazione fisica: i due giovani si avvicinano e ritagliano uno spazio, tra parole e silenzi, in cui Dìdec viene convocato alla presa di coscienza e scoperta di sé. Piccoli ma decisivi sono gli interventi del fratellino Biel, che a suo modo prova a capire cosa sta succedendo al maggiore, in un meccanismo conflittuale che si scioglie in una dolce fratellanza. Il regista ammette apertamente una passione per il film sugli e con gli adolescenti, in Usa si direbbe il teen movie, di cui inscena volutamente gli archetipi: ecco allora – a titolo di esempio – la sequenza sotto la pioggia, che lascia il protagonista fradicio a duro confronto col padre.

Jan Monter in Strange River
Jan Monter in Strange River

Jan Monter in Strange River

La storia germoglia dalla giovinezza dell’autore: anche lui passava le estati in bicicletta sul Danubio, rielabora così la propria esperienza in una video-riscrittura della vita stessa. I riferimenti sono chiari. C’è in trasparenza il nume tutelare di ogni conte d’été, Éric Rohmer, ma c’è anche Chiamami col tuo nome di Guadagnino che è ormai diventato un modello per il queer movie giovanile con l’attrazione tra ragazzi. Claret Muxart ci aggiunge il suo sguardo, che culmina soprattutto nella rappresentazione dell’acqua, filmata come pochi: la cinepresa si tuffa nella zona periferica del Danubio e lo rende personaggio, correlativo oggettivo della fluidità dell’adolescenza, tanto che alla fine – dopo la fuga d’amore – l’immagine torna proprio sull’acqua prima di mandare in nero lo schermo.