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L’intervention è un termine oramai entrato anche nel nostro parlare comune e viene – guarda un po’, come spesso capita – dalla serialità. È un concetto americano che si riferisce a quando una persona o un gruppo di amici riunisce un proprio caro per metterlo di fronte a quello che loro pensano sia un problema, per provare a risolverlo.
È ciò che tenta di fare Devon (Meghann Fahy) nei confronti della sorella minore Simone (Milly Alcock) dopo che quest’ultima è sparita da mesi, rintanandosi su una lussuosa magione sulla spiaggia, dove vive, lavora e venera in modo quasi preoccupante la sua nuova capa, l’inquietante e folle Michaela (Julianne Moore), filantropa appassionata di volatili. Peccato che la ragazza continui a dire che sta bene e si è finalmente rifatta una vita dal passato doloroso che si è lasciata alle spalle, e di cui Devon faceva tristemente parte. Il weekend si rivelerà non solo pieno di sorprese inaspettate ma anche una sorta di terapia di gruppo in cui tutte le questioni irrisolte dei protagonisti verranno alla luce, vomitate letteralmente addosso gli uni agli altri nel corso di tre giorni da dimenticare.
Sirens – creata da Molly Smith Metzler a partire dal suo spettacolo Elemeno Pea – fin dal titolo non è solamente la parola in codice scelta dalle sorelle protagoniste per chiedersi aiuto nel momento del bisogno, ma fa riferimento anche alla mitologia greca e a quel canto che ammaliava i marinai portandoli in mare. Non a caso, infatti, la storia è ambientata in una villa sontuosa sulla costa, con tanto di faro dove il padrone di casa (un sorprendente Kevin Bacon) si rifugia lontano dallo sfarzo che la moglie ostenta; e con tanto di ancora (di salvezza?) ad accogliere gli ospiti appena entrano nel maestoso giardino, mentre la servitù si scambia messaggi in una chat di gruppo sparlando di ciò che sta accadendo ai loro padroni.
La sigla breve ma incisiva, le sculture plastiche e classicheggianti, la regia attenta e particolare, la passione per i rapaci che devono imparare a volare di nuovo: tutto rimanda ad un mondo che non c’è più ma la cui eco sembra ben presente nella vita del guru motivazionale meravigliosamente interpretata da Moore, altamente sopra le righe proprio come gli altri personaggi che popolano il suo mondo – oppure che vi irrompono senza essere stati invitati come Devon.
La trasformazione di Meghann Fahy dopo aver interpretato l’esatto opposto – ovvero la ricca moglie trofeo in The White Lotus – è incredibile e credibile al tempo stesso. Sirens è il sogno americano al femminile, spogliato di qualsiasi eroismo. Kiki (Michaela) è tanto folle e possessiva quanto empatica e altruista, così come le altre due protagoniste, pronte a rinfacciarsi tutto ciò che hanno perso nella propria vita a causa dell’altra. L’obiettivo di tutte sembra essere fuggire dall’anonimato per diventare la “signora qualcuno”; allo stesso tempo però questo può voler dire dover rinunciare alla propria indipendenza.
È incredibile come Simone voglia cancellare il proprio vissuto a tutti i costi e la (sua) salute mentale è solamente uno dei tanti (troppi?) temi affrontati dalla serie, oltre all’importanza della memoria e ai rapporti disfunzionali, non solo familiari ma di qualsiasi natura. Proprio la caratterizzazione altalenante di personaggi e situazioni è il maggior difetto della miniserie, insieme alla mancanza di una struttura episodica ben delineata, rendendola di fatto un film di cinque ore. Chi sono le vere sirene di questa storia?