Per entrare nell’ermetico Sermon to the Void di Hilal Baydarov è utile leggere i nomi dei produttori. Qui spicca il maestro messicano Carlos Reygadas. Forse bisogna partire dal suo cinema per poi provare a scomporre e rielaborare uno dei titoli più imperscrutabili di questa edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

La cifra di Reygadas è viscerale, unica. Ha sempre invitato ad avvicinarsi ai misteri del nostro tempo senza la paura di illuminare la verità. Per questo non teme di mostrare il fervore della passione, la lentezza dell’attesa, il fascino dell’onirico. Non a caso Nuestro tiempo, nel 2018, era forse il film più bello in concorso al Lido.

Sermon to the Void di Baydarov (presentato Fuori Concorso) ne segue la scia, per poi discostarsene. Non è un omaggio, ma una rielaborazione, ancora più astratta, che richiama a tratti la videoarte. Il titolo è già molto evocativo Sermon to the Void, un sermone fatto al vuoto, al nulla. Il richiamo sembra a Bergman, a quella chiesa desolata di Luci di inverno. In Sermon to the Void il mondo è un deserto, perché ormai si è persa la capacità di riconoscere la bellezza. Alcuni personaggi si muovono in un ambiente alieno, facendo fatica a dialogare. La ricerca è disperata: l’Acqua della Vita è l’unica possibilità di ritrovare un equilibrio.

Da qui scaturisce uno dei titoli più sfaccettati e misteriosi visti quest’anno al Lido, un cinema quasi sperimentale, che purtroppo farà fatica a raggiungere un ampio pubblico. Sermon to the Void mette in scena una ricerca di sé stessi mai scontata. Si accenna a una parabola cristologica, ci si accosta a qualcosa di più alto. Forse è il film più teologico della Mostra, portando sullo schermo la necessità di dare un volto a Dio, di raccogliere i frutti di ciò che si predica.

Non un film per tutti, ma comunque una sorpresa dal sapore cinefilo. Respinge, toglie i punti di riferimento, e infine mostra un disegno preciso: lanciare un monito sul preservare ciò che ci circonda, ponendoci le domande giuste sui grandi temi del nostro tempo. È una riflessione che affonda le radici nei misteri dell’essere umano, nei dilemmi legati all’invisibile. Sermon to the Void è anche una preghiera, un flusso di coscienza, una condanna dell’insensatezza dell’attualità in cui ci è dato vivere.