Senza arte né parte? Nomen omen.  Un'altra commedia corale, interpretata da Vincenzo Salemme, Giuseppe Battiston, Donatella Finocchiaro, Hassani Shapi, Giulio Beranek, Sonia Bergamasco, Paolo Sassanelli e Ninni Bruschetta, che non va oltre un discreto spunto iniziale, anzi, lo rinnega tra volemose bene e politically correct.
Coprodotta da Lumière & Co. e Rai Cinema, diretta dall'artista-regista Giovanni Albanese, segue tre operai (Salemme, Battiston, Shapi) licenziati da un pastificio salentino che per sopravvivere si daranno all'arte contemporanea: prima quali custodi delle opere acquistate dal titolare (Sassanelli), quindi da improvvisati falsari, pronti a “ricalcare” le orme e le opere di Pino Pascali (Baco da setola), Piero Manzoni (Uovo, 1960), Julian Schnabel (Plate Paintings) e altre “artistar” con lo zampino del fratello di Battiston, il tamarro dal cuore d'oro Bernake (l'unico a salvarsi nel cast).
La parola chiave è “ancora”: ancora Puglia, complice la calamita della Film Commission; ancora precarietà, con tre poveri cristi che a passo di valzer fanno luddismo di pasta e passata di pomodoro ma poi si rimettono in carreggiata, senza rabbia e senza credibilità; ancora, appunto, commedia, che prova a unire il basso (i protagonisti) e l'alto (il mondo dell'arte contemporanea) senza colpo ferire. Non va, anzi, non serve: il retroterra sociale è annacquato e svilito, ma ne rimane il peso, la compunzione almeno, che mette in sordina le risate. A mantenere la parola è solo il titolo.