Sulle rive del Tagliamento (Friuli) s'intrecciano vite e attività disparate: vecchie contadine che lavorano a mano la terra, pescatori che riparano le reti prima di un'uscita in barca, bambini che corrono e inventano giochi tra i pendii, geologi che studiano la morfologia del territorio. Volti di una comunità fuori dal tempo, abbarbicata sul territorio come le valli che scendono fino al greto del fiume e modellano uno dei più importanti snodi della storia d'Europa: spazio d'attraversamento per molti, dai soldati della Grande Guerra ai fuggiaschi di ogni regime. Fasulo, nato proprio a San Vito del Tagliamento, tenta di catturare l'anima di questa terra, invertendo i rapporti della tradizione bucolica, quelli tra primo piano e sfondo, uomo e paesaggio. Il fiume diventa assoluto protagonista, colto, registrato, inseguito, da ogni prospettiva e nell'ascolto totale delle sue voci, muovendo di continuo la camera lungo traiettorie che intersecano esperienze, memorie, generazioni, per proseguire sempre e disperdersi. Più che un documentario, Rumore bianco - finanziato dai comuni della zona con venti centesimi per abitante - è un'ispirata sinfonia di suoni e immagini che si riallaccia idealmente al testamento di Joris Ivens - Une histoire de vent - e rivela lo stesso pudore di sguardo dell'ultimo Depardon (Profil Paysans). Un'opera ambiziosa, non sempre lucidissima (troppi volti e storie per un documentario che indaga la forza primigenia degli elementi), capace di assorbire però la vita interna della natura e di restituirne sullo schermo i più segreti palpiti. Senza la pretesa di svelarne il mistero, ma arrestandosi di fronte alla sua epifania: laddove il reale diventa simbolico, e il naturale magia.