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Quod erat demonstrandum
Le vite degli altri possono essere le vite proprie. Il riferimento all'ottimo film di von Donnersmarck calza per parlare di Quod erat demostrandum, film rumeno di Andrei Gruszniczki in concorso al Festival del Film di Roma, storia di spie e spiati, che anziché concentrarsi su chi lo spione lo fa per mestiere indaga chi invece nel meccanismo è coinvolto suo malgrado.
Nella Romania comunista degli anni '80, un matematico decide di pubblicare un articolo su una rivista edita da una facoltà statunitense senza chiedere il permesso alle autorità, mentre una donna cerca di riconcongiungersi con il marito fuggito in Francia. S'innesca così una catena di eventi che cambierà le vite dei loro amici. D'altronde, nessuna decisione è mai priva di conseguenze. Scritto dal regista, Quod erat demonstrandum è un dramma severo, girato in bianco e nero e dalla combustione lenta che racconta l'effetto del controllo sulle vite quotidiane. Gruszniczki racconta gli effetti del potere e del controllo sui gesti e le situazioni quotidiane, descrivendo poco a poco le distorsioni e le perversioni del regime, comunicando l'idea sottilmente atroce dello spiare come gesto quotidiano e concentrandosi sui meccanismi per i quali persone comuni diventarono delatori e traditori dei propri amici e parenti. Temi fortissimi e dolorosi che il regista però trasforma in racconto filmico a tutto tondo soltanto negli ultimi 20 minuti finali, quando il senso narrativo ed emotivo del film si dispiega; nel resto del tempo, Quod erat demonstrandum mostra una narrazione stanca e soprattutto i limiti di Gruszniczki come narratore.
Personaggi, situazioni, intrecci sembrano lasciati a macerare per troppo tempo faticando a comunicare con lo spettatore, mentre l'idea di cinema all'apparenza raffinatissima si ferma a un bianco e nero che di rado diventa evocativo. Occasione sprecata per realizzare un capolavoro, Quod erat demonstrandum è comunque un film che ha spunti e tocchi, su tutti gli interpreti guidati dalla presenza interessante di Ofelia Popii. Non il cinema rumeno che ha scaldato i festival del mondo, in ogni caso.