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Pin de fartie
Riecco l'ondata dirompente e immaginativa di Alejo Moguillansky che con Pin de Fartie, porta il cinema dell'assurdo, fondante del collettivo argentino di cui fa parte e che produce il film, El Pampero Cine, a nuove vette.
Per un gruppo di lavoro come questo, composto oltre che da Moguillansky, da Mariano Llinás, Laura Citarella ed Agustín Mendilaharzu, cosa poteva esserci di più intimo, paradossalmente, e di ritorno alle origini della propria concezione di racconto cinematografico di un intreccio di situazioni e personaggi con radici nel teatro di Samuel Beckett?
Come suggerisce il titolo, infatti, Pin de fartie – in Orizzonti a Venezia 82 – è un gioco, teatrale, di dinamiche tra personaggi, di adattamento scenico, che mescolando le lettere del titolo, fa altrettanto con le suggestioni e le riflessioni di quel Fin de partie (Finale di partita), scritto nel 1957.
Sulla scia dell’opera teatrale dunque, Moguillansky apre il film con un cieco e sua figlia che, “guardando” all’orizzonte, danno vita ad un energetico botta e risposta, punzecchiandosi su qualsiasi cosa apparentemente futile, poiché nella vita e nell’assurdo, è proprio discutendo dell’apparente nulla che si affrontano i legami.
Ancora, due attori si incontrano in un appartamento, come farebbero due amanti, solo per provare una vecchia opera teatrale, in un paesino del sud. Entrando e salendo dalla finzione, “come due spie che si appropriano di un'identità”, finiranno, forse, per innamorarsi veramente, rimanendo sempre sospesi tra verità e incertezza.
Due anziani vivono in un bidone della spazzatura di fronte al Congresso di quello stesso paese del sud mentre un figlio rende rituale anche l’eterno e giornaliero addio all’anziana madre, una pianista cieca che ricorda a memoria solo Il chiaro di luna di Beethoven.
Una voce narrante che anticipa o legge le azioni dei protagonisti di questa storia, a sua volta guidata da due registi, forse responsabili di tutto ciò, che filmano treni e lune e dedicano il loro tempo a un’attività che nessuno sa se esista ancora: il cinema.
Quello di Alejo Moguillansky è un cinema immediato, da esperire scena per scena e assorbire solo molto dopo, come a lasciarsi imprimere immagini davanti agli occhi per poi gestirle, emotivamente, a posteriori.
C’è una particolare malinconia in questo ultimo lavoro però, soprattutto se lo si guarda alla luce della scelta che il regista fa nel riservare al se stesso attore, il ruolo del figlio che accudisce la madre. Worstward Ho la novella di Beckett che leggono insieme ad alta voce, diventa rappresentativa di ciò che sono e sono stati. Questa acquisita consapevolezza, che il film ci dichiara, porta l’uomo a vivere con più leggerezza la sua vita di tutti i giorni, anche portare il cane a spasso guardando alla luna, diventa azione più goduta, spensierata.
Niente è lasciato al caso in Pin de fartie, soprattutto la musica, curata con brani dedicati da Prietto, tra cui Socorro e la già indimenticabile Viene Arrastrandose, colonna sonora di una simmetrica danza padre-figlia, in cui guardarsi non è necessario per essere in sincrono.
Difficile “criticare” Pin de fartie se non per riaffermare che la sua destinazione è solo e soltanto la sala, qualora ce ne fosse il dubbio, per darsi il tempo necessario a incamerare l’ultimo gesto accudente tra una figlia e un padre.