Non è mai banale il cinema di Amat Escalante. Lo capiamo subito, anche stavolta, dalle prime immagini di Perdidos en la noche, film che arriva sette anni dopo La region salvaje (era in gara a Venezia) e che Cannes 76 ospita nella sezione Première.

Una casa dall’architettura avveniristica nel nulla di una regione messicana brulla: la macchina da presa ci porta al suo interno, abitato da oggetti di dubbio gusto e da una famiglia, capiremo poi, sotto la luce dei riflettori della popolarità, ma soffocata da un male di vivere irrimediabile.

Il centro del film è lì, ed è lì che farà di tutto per arrivare il giovane Emiliano (Juan Daniel García Treviño), convinto che proprio in quel luogo si nasconda il mistero relativo a sua madre, insegnante e attivista che tre anni prima protestava contro una compagnia mineraria e, poco dopo, è scomparsa nel nulla.

Escalante mette subito in contrasto l’ambiente rurale (che Emiliano incarna alla perfezione) e lo stile di vita della famiglia per la quale andrà a lavorare: per accentuare lo scarto fa scelte di cast ben precise, con l’artista tormentato Duplas (Fernando Bonilla) contornato dalla moglie cantante Carmen Aldama (Bárbara Mori, notissima attrice di telenovele) e dalla figlia di lei Monica (la spagnola Ester Expósito, sex symbol e conosciuta grazie alla serie Netflix Élite). Proprio quest’ultima è la caratterizzazione forse più interessante del film, con quell’utilizzo maniacale dei social che in qualche modo ricalca l’eco di una verità (28 milioni di follower su Instagram l’attrice) che rimbomba nella desolazione di quel luogo dove tutt’intorno è natura, silenzio, povertà e boati provenienti dalla miniera.

Il thriller del regista messicano (che per la prima volta dunque non si affida solamente ad attori non professionisti) scava all’interno di territori contrassegnati dal potere e dalla sua corruzione (la polizia), muovendo “nelle tenebre” le azioni del suo giovane protagonista, che finirà suo malgrado per essere risucchiato da questo mondo cannibale.

Come sempre capace di costruire atmosfere di rara suggestione, Escalante sembra però non riuscire a tenere salda la briglia di un racconto che, a lungo andare, scivola nella fangosità di epiloghi che si dilungano e scelte forse un po’ troppo esagerate, simboliche, plateali.