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Orfeo
La chiave sta nel nome della casa di produzione, Fantasmagoria, che letteralmente sta per “il rapido alternarsi o susseguirsi di immagini stranamente vivide e attraenti” oppure “una serie di supposizioni infondate che colpiscono esageratamente l’immaginazione”.
Una parola-mondo che certifica l’identità di Orfeo, presentato Fuori Concorso a Venezia 82, che segna il debutto nel lungometraggio di Virgilio Villoresi, un poeta della fantasmagoria – appunto – che dopo corti (Frigidaire in stop motion, J a tecnica mista live action e animazione), spot pubblicitari (RAI, Valentino, Smythson, Bulgari, Fendi, Moncler, Fornasetti, Emergency e ONU) e videoclip (Vinicio Capossela, John Mayer, Riva Starr, Blonde Redhead) riesce nell’impresa di tradurre sul grande schermo Poema a fumetti di Dino Buzzati, uscito nel 1969 e considerato la prima graphic novel italiana.
Versione moderna del mito di Orfeo e Euridice, il film di Villoresi è un’esperienza che ha pochi paragoni nel panorama italiano soprattutto contemporaneo, una sorta di aggiornamento del “cinema della meraviglia” di Méliès in una Milano ripensata attraverso una prospettica misteriosamente onirica.


Giulia Maenza in Orfeo
Riportarne la trama sarebbe ridondante: meglio seguire un percorso visionario sul crinale tra spaesamento urbano e illusioni fantastiche, fatto di ville abbandonate e club notturni, artisti solitari che si interrogano sui domani passati e donne epifaniche per le quali val la pena immaginarsi altrove, melusine danzanti che indicano vie oltre la soglia e scheletri che marciano alla conquista del nulla, maestre di cerimonia per orientarsi in mondi sconosciuti e uomini oscuri forse guardiani di territori al confine tra il noto e l’ignoto.
È un viaggio notturno nei ricordi perduti e nei sogni che muoiono all’alba, Orfeo, una specie di opera-mondo che in poco più di settanta minuti contiene un repertorio di intuizioni e fantasticherie che spesso non hanno diritto di cittadinanza nel nostro cinema sempre così affezionato alle comodità realiste. E a rendere l’operazione ancora più affascinante è la vocazione artigianale che permette a Villoresi di offrirci un film che è allo stesso tempo sensoriale e materico, astratto eppure concreto, suggestivo nel suo essere tattile, un carnevale dell’immaginazione girato in pellicola 16mm e realizzato in interni nei quali reinventare Milano e quel che c’è oltre le porte chiuse.


Orfeo
Un approccio che si riflette anche nella scelta organica di accostare live action (e anche inserti d’archivio, misurandosi quindi anche con il found footage) e animazione, attori e attrici in pieno straniamento (Luca Vergoni, Giulia Maenza, Aomi Muyock, Vinicio Marchioni in un cameo decisivo) e elementi animati in stop motion. Sospeso tra realtà ripensata e aldilà immaginato, Orfeo è malinconico e romantico, erotico e teso, sperimentale e citazionista, spettrale e carnale.