Sporco. Dolente. Ironico. Once Upon a Time in Gaza dei fratelli Tarzan e Arab Nasser arriva come una scheggia impazzita in mezzo al cinema ovattato dei buoni sentimenti. Un film piccolo, in apparenza, ma pronto a deflagrare sotto la pelle. Gaza non come simbolo, Gaza non come vittimismo, Gaza come spazio concreto, slabbrato, sporco di sabbia, di sangue e di risate amare.

Il film comincia come una fiaba nera. "C'era una volta", sì, ma qui il lieto fine è una chimera sbriciolata sotto i razzi. Ecco allora un gruppo di amici, Yahya l'attore mancato, Osama il fratello d'elezione, la banda improvvisata a sognare un altrove impossibile. Ma il sogno si incaglia nella realtà: l'amico cade, e Gaza diventa Gazawood, uno scenario che chiede vendetta, uno schermo che sanguina.

Politica? In filigrana. Non c'è bisogno di proclami. Basta il respiro di chi sta sotto assedio. Anti-israeliani? No. I Nasser guardano a tutto tondo: Hamas, la corruzione, la retorica marcia del martirio. E intanto, senza agitarlo, alzano il dito medio anche contro il destino. Il film è una sarabanda di generi che minaccia a ogni scena di collassare su se stessa – noir, buddy movie, revenge western – ma miracolosamente resta in piedi, come Gaza stessa, come chi non ha altra scelta che avanzare. Il montaggio è nervoso, scattoso, le inquadrature cercano il reale come chi cerca ossigeno sott’acqua. C'è Tarantino, certo (titolo e ironia cruda lo tradiscono), ma c'è anche Park Chan-wook, che irrompe nella seconda metà con un pezzo di Lady Vengeance, a marcare la cesura tragica: da farsa a tragedia, da scherzo a sangue.

E sì, il film cambia pelle. La prima parte – spensierata come può esserlo solo la disperazione – gioca con l'ironia. La seconda diventa più cupa, quasi greve. Si sente la mancanza di quella leggerezza iniziale, di quel distacco parodico che proteggeva il racconto dalla retorica. La vendetta rimbalza senza più contrappesi. Non è un errore, forse: è Gaza stessa che non concede redenzioni. In questa terra sospesa, Osama – il migliore tra i personaggi – resta scolpito nel cuore dello spettatore come un'ombra dolce e tenace. Un eroe tragicomico, figlio di un’umanità che combatte per non sparire nel silenzio. Once Upon a Time in Gaza è, infine, un atto d’amore feroce: verso una patria che non esiste se non nel sangue e nel sogno. Un film imperfetto ma necessario, traballante ma vivo. Un'ode disperata al potere del cinema – l'unico, forse, capace ancora di strappare alla realtà qualche scheggia di leggenda. Un piccolo miracolo, sporco di vita. E per questo, a suo modo, indimenticabile.